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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

venerdì 24 ottobre 2014

Affiancare la malattia nella consapevolezza




Insieme si può....


La mia anoressia fondamentalmente non è solo il segno di un mio disagio ma anche di quello della mia famiglia. Si perché anche se sto vivendo in prima persona questa malattia i miei cari comunque vi sono coinvolti in maniera significativa. Mi sono fatta portavoce di un dolore, di una sofferenza che ha sempre riguardato anche i miei familiari e se in qualche modo mi ‘sono sacrificata’ diventando il simbolo di un malcontento 'generale', sto toccando da vicino la loro di sofferenza fatta di senso d'impotenza, di sensi di colpa, di insoddisfazioni, di annichilimento. Se per otto anni il mondo che c’era dietro la malattia è stato messo a tacere perché nessuno di noi l'ha mai accettata, ora che questo mondo o meglio universo sta uscendo fuori, tutto è altrettanto difficile ma ha tutto un altro senso, ha SENSO. Già perché se per otto anni le difficoltà create dai troppi silenzi, dai tabù , dalla paura di esporsi e fare finta di niente appariva come la strada più semplice da percorrere, l'unico modo per difendersi, ora guardando in faccia la realtà stiamo trovando la giusta forza per non nasconderci più e per combattere.Ora ci ritroviamo insieme a fare i conti a viso aperto con la malattia, le difficoltà sicuramente non mancano ma c’è qualcosa di diverso. Sento che sto combattendo con loro, che anche se impotenti davanti a determinate situazioni, tante volte anche per me incomprensibili, non c’è GIUDIZIO ma CONSAPEVOLEZZA. Come 'ci sto ' io nella sofferenza stanno imparando 'a starci' anche loro, anche se in tanti momenti provano rabbia perché vorrebbero togliermi almeno un po’ del dolore che sto provando. Bè che esca fuori questa rabbia, che si faccia avanti e non rimanga soffocata come se non ci appartenesse. Che ognuno di noi si riprenda il proprio carico di sofferenza e ci faccia i conti. Certo sto facendo e ho fatto i conti anche con alcuni loro 'limiti' anche di comprensione, dettati dalla loro storia di vita, dalla loro percezione di essa e da alcuni schemi mentali strutturati nella loro mente da troppo tempo e che non si può avere la pretesa di distruggere in toto . Però anche i loro piccoli passi o comunque quelli che obbiettivamente possono apparire come tali, soprattutto perchè si ha come metro di misura i propri che inevitabilmente possono essere diversi perchè sei tu a vivere in prima persona la malattia o perchè puoi anche avere una propensione diversa al cambiamento, cerco di guardarli e sentirli rapportali al loro sforzo e considerarli nella maniera giusta. Con il tempo e attraverso il mio percorso sto imparando anche ad accettare il loro modus vivendi senza farmi fagocitare dalle loro difficoltà, dal loro 'fare poco rispetto a quello che sto facendo io' accettando e dando una dimensione diversa al loro agire, o non agire, al loro fare e al loro non fare. Tutto questo DIFFERENZIANDOMI.
Rosy

venerdì 17 ottobre 2014

MI NUTRO DI PAROLE

Mi nutro di parole per iniziare nuovamente a nutrirmi di vita, scrivendo le mie esperienze di sofferenza, cercando di dare ordine alle sensazioni contrastanti che opprimono il mio cuore attraverso la narrazione di cosa sto vivendo. Senza temere lo sguardo dell'interlocutore. Lasciarmi andare al fiume di parole che rompe gli argini del mio essere per liberarsi su un foglio e liberarmi da un peso. La scrittura autobiografica può costituire un aiuto per ricominciare, per mettere un punto fermo su ciò che è stato, per non dover dire sempre domani, domani mi impegnerò a riemergere. Poter rileggere quello che ho scritto e, specchiandomi in tanto dolore, urlare mai più oppure, riflettendomi nelle parole di un altro, comprendere che non sono sola in questo cammino di rinascita.
Ilaria Caprioglio (scrittrice)

giovedì 9 ottobre 2014

Ancora Rosy.... altre riflessioni


Rosy si racconta e ci racconta...

Paura di star bene

Avvicinarsi alla normalità…una cosa eccezionale e per assurdo ‘da temere’…già perché l’anoressia è anche questo….paura di star bene, di essere ‘normale’…La tua mente che gioca davvero brutti scherzi vorrebbe che tu fossi notata attraverso i segni della malattia e allo stesso tempo vorrebbe che tu passassi inosservata, che fossi invisibile…la contraddizione per eccellenza….usare la malattia come mezzo per comunicare la tua diversità, la tua ‘unicità’ perchè in mezzo alla ‘normalità’ davvero non ti senti a tuo agio. Senti che la tua essenza che vorresti prevalesse, che ti rappresentasse in tutto e per tutto, non riesce ad uscire nella sua interezza, è sempre una voce strozzata. E allora il fisico diventa un ostacolo, inconsciamente vorresti annientarlo perché ti senti solo ‘contenuto’ e non ‘forma’. Quindi se il tuo essere non riesce ad uscire, forse perché lo senti imprigionato materialmente in un corpo, quest'ultimo non deve esistere. Un essere annichilito in un corpo annichilito. Un conflitto continuo che in maniera subdola e illusoria si mostra come una sorta di equilibrio, l'unico equilibrio. L'equilibrio del non esserci. Nell'annullamento totale di te stessa trovi il tuo equilibrio. Un equilibrio che devi rompere vivendoti il reale squilibrio, quello tra spirito e corpo per poter trasformare quel conflitto in fusione. E questo è un altro dei mille volti dell’anoressia.

Un bacio
A presto
Michi

 

martedì 7 ottobre 2014

Anche gli EDNOS soffrono

Carissimi,
vi scrivo per raccontarvi la mia esperienza al Centro Disturbi Alimentari di Genova.
Io mi chiamo Ilaria e la mia serenità dipende in toto dal numero che ogni mattina compare sulla bilancia. Non sono magra, non sono grassa. Sono normopeso e detesto mangiare. Ma ho sempre fame. Insomma, sono incastrata nel limbo degli EDNOS, quelli che sono disturbi alimentari generici, difficili da catalogare, troppo pesanti per conviverci, troppo poco influenti per considerarli importanti e degni di essere curati.
Ogni singolo giorno, per 10 anni, due dita in gola hanno fatto sì che il mio stomaco espellesse ogni alimento ingerito e ritenuto eccessivo. Poi sono iniziati i dolori allo stomaco e le ricerche su internet. Ho capito che mi stavo distruggendo e con molta, molta, molta forza di volontà, ho smesso di vomitare.
Ovviamente, questo, è servito solo a peggiorare la mia situazione psicologica.
Ma io non vi sto scrivendo per descrivervi il percorso di crescita del mio demone, ma per raccontarvi di come chi avrebbe dovuto darmi una mano a combatterlo, lo ha solo nutrito e fatto sviluppare.

Per qualche anno, ho cercato il coraggio di farmi aiutare. 
Questa primavera, poi, stanca di contare ogni singola caloria ingerita, di sentirmi in colpa per qualsiasi alimento assunto che non fosse frutta o verdura, stanca di essere torturata dal desiderio e dal senso di colpa, stanca di guardarmi allo specchio e vedere una ragazza orrenda e grassa, ho trovato finalmente la forza di contattare telefonicamente il Centro Disturbi Alimentari di Genova Quarto.
E' stato difficilissimo fare quella telefonata. Non so quante volte ho fatto il numero e riattaccato il telefono, decine, forse. 
Così come è stata una vera sfida di coraggio, dover andare dal mio medico generico a chiedergli la richiesta precisamente per "Consulto psicologico per disturbi alimentari". 
Insomma, io adesso, dal mio medico, non ho più il coraggio di andarci. Mi faccio lasciare le ricette in farmacia.

Comunque, armata dei rimasugli della mia forza, inizio il mio percorso.
Ho compilato questionari, risposto a domande, fatto visite, prelievi, esami.
Sono nella norma. I valori vanno bene, il BMI è normale. Il peso anche. La mia dieta è equilibrata. Migliorabile, ma equilibrata.
Dai primi giorni di giugno ai primi di agosto, sono stata seguita dalla psicologa, che ha iniziato a scavare per capire, per capirmi. E io, accecata da una fiducia che arrivava solo dalla disperazione, ho vuotato il sacco. Ho tirato fuori ogni cosa, ogni sofferenza, ogni frustrazione. Ed ogni volta lei mi guardava e sembrava aver trovato il problema.
Un'insoddisfazione generale della vita, il rapporto con mia madre, paura, mancanza di autostima, senso di colpa generalizzato, tensione accumulata. Persino il respiro affannoso, era un problema da risolvere.
"Adesso cerco di farmi un'idea generale." e "Poi ci lavoreremo.", erano le frasi che le sentivo dire.

Poi sono andata due settimane in ferie. Settimane in cui ho perso completamente il controllo sulla mia alimentazione e sulla mia persona. Sono caduta in un baratro e avevo bisogno di parlare con qualcuno, ma anche gli psicologi hanno bisogno delle vacanze e, quindi, fino a settembre, non se ne sarebbe parlato di un colloquio.

Ed eccoci ai giorni nostri.
Il 9 settembre, con il cuore disperato e confuso e con un corpo sgraziato e idealmente appesantito da cibi che non avrei ma voluto mangiare, sono andata alla mia tanto agognata seduta. E le ho detto tutto. 
Di quanto sono difficili le ferie, se hai paura di mangiare e se chi è con te non capisce. Di quanto mi sono sentita persa e disperata. Di quanto avrei voluto potermi cucire la bocca, per non inghiottire più niente.
Ebbene, il il suo parere è che io sono solo un pò confusa e non riesce a capire da dove nasce il mio malessere. Un bell'appuntamento con la dietista che schematizza il mio regime alimentare e tanti saluti. 
"Poi, se tra qualche tempo stai ancora male, SEMMAI, ci sentiamo."

Un pò confusa, ma tutto sommato ancora vogliosa di uscirne, mi reco dalla dietista, la quale, candida come una nuvola, mi chiede come va con la dieta e se ho difficoltà a seguirla.
QUALE, DIETA?
Un foglio datato giugno, con il regime alimentare che avrei dovuto seguire e che nessuno si era mai preoccupato di darmi.
Un regime alimentare i cui pasti sono il doppio di quelli a cui sono abituata, che mi è stato consegnato con l'ordine di seguirlo e la promessa sarei stata meglio e che, comunque, loro avrebbero ricontattato a breve.
E che io mi sto sforzando davvero di seguire.

E' passato quasi un mese, da quando mi hanno dato questa dieta. Ovviamente, mangiando il doppio di prima, ho messo su peso. Ovviamente, sono disperata. E, ovviamente, nessuno si è più interessata alla mia situazione.

Il problema è che io ora, non solo sono sempre ossessionata dal mio aspetto fisico e dal terrore di ingrassare, ma ho anche da affrontare tutta la serie di demoni che qualcuno ha risvegliato, senza preoccuparsi di darmi gli strumenti per farlo e lasciandomi completamente sola.
Sapete come mi sento? 
Mi sento come se avessi cercato qualcuno con un estintore che mi aiutasse a domare un falò indisciplinato e quel qualcuno fosse arrivato con un estintore pieno di benzina. E poi mi avesse lasciato in mezzo al bosco incendiato, con un bicchiere d'acqua in mano, dicendomi "Ti basta, per spegnerlo."
Insomma, sto peggio di prima. E in più sono arrabbiata. Con loro, con me stessa.

Insomma, io capisco, che ci sono persone più gravi che meritano di essere seguite con più attenzione. Ma anche le persone come me, stanno male.
Anche se non siamo obese o pelle-ossa, soffriamo.
Anche un'influenza va curata, sebbene non sia grave come una polmonite.
Non sono pentita di aver cercato aiuto, ma sono dispiaciuta ed amareggiata, di essere incappata in persone incompetenti.
Non so se voi siete le persone giuste a cui raccontare questa storia, ma mi piacerebbe che fosse pubblicata sul vostro blog, così, per condividere e confrontare un'esperienza.

Anche gli EDNOS soffrono.

Grazie.Ilaria

mercoledì 1 ottobre 2014

SENTIRSI

E' solo un jeans eppure....

Quante volte un indumento diventa un mezzo per testare la nostra forma fisica....quando sentiamo un pantalone troppo stretto ci scoraggiamo un pò pensando a quando invece lo sentivamo più morbido addosso, oppure ci sentiamo soddisfatti quando questo lo sentiamo meno aderente perchè è il segno di un dimagrimento...bè questo può rientrare nella normalità...il discorso cambia quando invece diventa un'ossessione e il test esprime un giudizio, o magari può diventare un modo per avere un riscontro con la realtà, quella realtà che appare completamente distorta a chi soffre di DCA. Ricordo ancora un episodio dei primi anni di malattia, quando la mia dimensione del reale era esageratamente MIA. Una mia amica, di costituzione esile, si offrì di regalarmi un paio dei suoi jeans. Quello che mi disse fu 'Rosy, spero che tu non ti offenda, ma sai ho un paio di jeans che non mi stanno più, sono nuovissimi e sarebbe un peccato buttarli, penso proprio che a te starebbe benissimo'. In quel momento per me completo smarrimento....un interrogativo su tutti 'Com'è possibile che pensi che un suo paio di jeans potrebbe starmi bene? Lei è molto magra....ma come mi vede?'. Bè fatto sta che accettai. Di ritorno a casa provai quei pantaloni e per mia grande sorpresa mi stavano e non erano neanche eccessivamente aderenti. Quell'episodio non mi scivolò addosso come se niente fosse anzi....fu per me un tonfo al cuore, un'avvisaglia, il messaggio chiaro che mi diceva 'Rosy hai una visione alquanto distorta della realtà, non sono i tuoi occhi a guardare ma è la tua mente che sta guardando quello che non esiste'. Questa fu una delle mie paure, averla sentita e riconosciuta contribuì a darmi forza nell'affrontare la malattia. 
O ancora la targhetta, quella semplice targhetta che può diventare anch'essa testimone della tua confusione. Circa un anno fa guardai la targhetta di un mio paio di Jeans che indossavo ma che sentivo che stavo per abbandonare, percependo i cambiamenti del mio corpo. Che rivelazione.....su quella targhetta c'era scritto 12 anni. Sconvolgimento totale. Il mio corpo quello di una dodicenne. Un corpo da dodicenne dal quale piano piano e con tante difficoltà mi sto distaccando.Crescere, cambiare quanto è dura, e che paura ma quanta voglia anche di farlo di sentirmi una trentenne nel corpo di una trentenne. Una commistione di emozioni e sensazioni diffiicili da descrivere ma sulle quali ho riflettuto e anche adesso rifletto ma in maniera ancora diversa. 
Quel fastidio che puoi provare nel sentire i pantaloni aderenti al corpo, si traduce molte volte nel volerti addirittura strappare la pelle di dosso semplicemente perchè quel contatto pelle-vestito è un modo per sentirti, o anche per trasferire l'idea che come le emozioni ti stiano soffocando in quel momento anche un paio di pantaloni lo stia facendo

Rosy