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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

mercoledì 28 febbraio 2018

Un giorno alla volta


Aspettando il sole.
Tutti noi conosciamo un posto fatto di lunghi corridoi, letti in successione, e sbarre alle finestre. Come una prigione.
Io, li dentro ho visto.
Ho visto la morte, ho visto la vita, ho visto la paura della morte e il terrore della vita.
Ho visto occhi scavare crateri sul viso, e capelli cadere a ciocche.
Ho visto pelle bianca, bianchissima, più bianca dei camici bianchi.
Ho visto mura di silenzi, e abissi di grida.
E poi ossa troppo sporgenti, il desiderio di scomparire per essere visti.
E strati di grasso per nascondersi dal mondo.
Ho visto il vuoto. Ho visto il pieno. Ho visto il vuoto scoppiare. E il pieno svuotarsi.
Ho visto l’autodistruzione dietro l’illusione del controllo.
Ho visto bilance pesare i sentimenti. Pasticche per combattere i pensieri. Brividi di freddo sotto vestaglie di lana a ferragosto.
Donne nel corpo di bambine.
Ma la cosa più atroce che ho visto è la fame. Fame di tutto. Fame di cibo. Fame di vita. Fame d’Amore. Fame nell’impossibilità di mangiare. La fame e il suo rifiuto. La fame e l’ossessione. Una fame che non ti lascia dormire, né respirare.
Ho visto briciole pesare un quintale, e mostri fatti di zucchero e pane.
Ho visto lotta e rassegnazione, forza disumana e fragilità impressionante, troppe sigarette e troppo dolore.
Ma di tutte le cose che ho visto li dentro, ce n’è una che non ho visto mai: il capriccio o la voglia di apparire.
La “dipendenza”, il disturbo alimentare  è una malattia vera e propria che lo si riconosca o no.
Per curare una gamba rotta basta ingessarla, ma non si può ingessare un’anima.
Ho visto e continuo a vedere cose che non vorrei vedere più .
Bisogna chiedere aiuto, perché l’unico modo per ritrovarsi è andare contro se stessi e incontro agli altri.
Contro se stessi perché non siamo più noi, è una malattia subdola che si impossessa della mente e distrugge il corpo.
Lì dentro ho visto anche me stessa.
Ma, ora che sono fuori, oltre a vedermi, posso molto di più: posso vivermi.
E a volte fa male, molto male ma ho capito che solo qui fuori si può correre il rischio di essere felici.
Un giorno alla volta.

Cinzia

martedì 20 febbraio 2018

Amy Cunningham e il World Eating Disorders Day


Il World Eating Disorders Day, Giornata Mondiale dei Disturbi dell'Alimentazione che si celebra ogni anno il 2 giugno, è stata fondata da Amy Elizabeth Cunningham (Tanzania), attivista che ha sofferto per oltre 20 anni di Disturbi del comportamento alimentare, madre di due figlie che a loro volta hanno sofferto di Anoressia ed oggi professionista della salute pubblica. 

 Nel 2013 si è attivata, assieme ad altri famigliari, per diffondere informazioni sui Disturbi Alimentari, creando anche gruppi di supporto tra pari on-line e ideando, il 2 giugno 2016, la prima Giornata Mondiale, nella consapevolezza che per combattere queste malattie è necessario un impegno globale, comprensivo anche di un quadro politico, finanziario e di ricerca che orienti l’azione pubblica verso un trattamento precoce e adeguato, senza dimenticare l'importanza di mettere in campo anche azioni di prevenzione idonee. 
Lo scorso anno, il 2 giugno 2017, #WeDoActTogether ha coinvolto quasi 200 Associazioni, Centri di cura e istituzioni in tutto il mondo. 

La storia di Amy Cunningham 
Amy Cunningham è madre di due figlie che hanno sofferto di Disturbi del Comportamento Alimentare, disturbi contro i quali anche lei ha combattuto e dai quali anche lei è guarita. Ha lavorato in Africa negli ultimi 16 anni e diretto programmi HIV/AIDS. E' co-fondatrice dell'International Eating DisordersAction, Chair of the World Eating Disorders Action Day Steering Committee 2016, e membro dell'Advisory Board for Academy for Eating Disorders. 

Amy come ragazza che ha sofferto di DCA 
Ho iniziato a soffrire di Anoressia all'età di 16 anni. Ricordo un periodo di depressione, poi il desiderio di perdere peso e l'inizio di una "dieta", che comportava sostanzialmente privazioni e restrizione delle calorie. Nel giro di un mese o poco più, all'università sono scivolata dalla "dieta salutare" all'Anoressia; sapevo che qualcosa non andava bene e io per prima consultai diversi medici professionisti. Tuttavia, all'epoca, negli anni '80 non c'erano sostanzialmente aiuti o conoscenza in materia di Disturbi Alimentari come malattie geneticamente correlate, come disturbi mentali curabili. Studentessa brillante e musicista di talento, ho abbandonato l'università a 18 anni, dicendo agli altri che "mi stavo prendendo una pausa", in realtà ero sostanzialmente incapace di concentrarmi e di lavorare a causa del mio disturbo alimentare. Negli anni successivi, la mia malattia si trasformò in Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED) e Bulimia. Dopo due anni di malattia, quando i pensieri suicidi terrorizzavano la parte funzionante del mio cervello, cercai aiuto per la prima volta. Un dottore dell'esercito degli USA mi disse che non sarei mai guarita. Fortunatamente, non gli ho creduto e nel corso degli anni successi sono riuscita a gestire lentamente e sistematicamente il mio Disturbo Alimentari e, infine, a guarire. Ci sono voluti più di 20 anni di terapie intermittenti e di crescita personale, durante i quali mi sono sposata, ho avuto dei figli, portato a termine la mia formazione e intrapreso una carriera di successo nell'ambito della salute pubblica internazionale. Il mio percorso di guarigione non lo raccomanderei. Non si è trattato di un intervento precoce e non ha preso in considerazione gli aspetti biologici della malattia. E' stato lungo, doloroso, ha avuto un impatto significativo sulla salute del mio corpo ed ero molto sola. Detto ciò, ero anche tenace e SONO GUARITA. Per coloro che ancora soffrono, fate attenzione e lavorate con un professionista competente. 

Amy come madre 
La seconda parte della mia storia riguarda le mie figlie e come la cura dei DCA è cambiata negli scorsi 20 anni. Avevo superato il mio disturbo da ormai diversi anni, quando le mie due figlie più giovani si sono ammalate di Anoressia. La genetica è chiaramente in gioco nella mia famiglia. Una sorella, diverse zie e famigliari soffrono di un disturbo alimentare. Fortunatamente, la letteratura sull'argomento è cresciuta molto e oggi esistono evidenze scientifiche che aiutano a guidare la cura. Una delle mie figlie si è ammalata di Anoressia a 13 anni, iniziando con sbalzi d'umore e poi un accanimento sul vegetarianismo, che è una facile 'maschera' dell'inizio di una restrizione dei gruppi alimentari e delle calorie in coloro che sono predisposti ad un disturbo alimentare. Come genitore, se hai una predisposizione genetica ai disturbi alimentari NON permettere o incoraggiare nessun tipo di comportamento di restrizione alimentare. E' una salita scivolosa. Il nostro medico non ha preso in seria considerazione le mie preoccupazioni all'inizio, fino a che, due anni dopo, quando lei era gravemente malata, lo ha fatto suo padre (il mio ex marito). Solo allora, il nostro medico ha iniziato ad occuparsi seriamente della sua malattia.

 
Amy come attivista
Il mio attivismo è iniziato nel 2013, quando mia figlia di 11 anni (D) si è ammalata anche lei di Anoressia. La malattia è arrivata come una tempesta, terrorizzando la nostra famiglia, e ci ha spronato all'azione immediata. Nonostante la mia esperienza degli anni precedenti e quella della sua sorella più vecchia, l'Anoressia di D. è stato uno shock e sono passati diversi mesi prima che si riuscisse ad intraprendere la cura. D. è cambiata dalla bambina gentile e adorabile che conoscevamo, in qualcosa di imperscrutabile, misterioso. I suoi comportamenti e il suo cervello stavano cambiando a causa delle carenze nutrizionali.
Stavolta, il nostro medico ha preso subito in seria considerazione le nostre preoccupazioni. Nonostante il fatto che abitassimo nell'Africa dell'Est, siamo riusciti a trovare supporto di altri genitori online e abbiamo scoperto il metodo di cura "Maudsley Family Based Treatment" (FBT). Ho letto Brave Girl Eating di Harriet Brown e How to help your Teen Beat an Eating Disorder dei Drs. Locke e Le Grange. Questi libri sono diventati le mie bibbie per aiutare mia figlia. La mia famiglia è stata fortunata ad incontrare dei professionisti straordinari all'Università della Carolina del Nord, a Chapel Hill (Dr. Stephanie Zerwas) e nei Centri Prosperity Eating Disorder e Wellness Center (Adrianna Rodriguez), che l'hanno supportata durante tutto il periodo di riabilitazione nutrizionale, quando D. necessitava di un introito calorico importante e consumava 6 pasti al giorno. 
Come famiglia, nonostante la vita divisa su due continenti (Africa e America), abbiamo lavorato insieme per supportare la guarigione di D., utilizzando occasionalmente la terapia ambulatoriale intensiva Family-Based Treatment (FBT) e il supporto via telefonica, tramite Skype, per diversi anni. Oggi mia figlia sta bene, è una ragazza come le altre, in salute, un'adolescente felice, grazie all'intervento precoce, alla cura basata sull'evidenza del rapido recupero del peso e ancora oggi l'aggiunta della medicina ansiolitica, che l'ha aiutata molto a recuperare e a vivere una vita normale.

Contrastare la disinformazione di massa
La terza parte di questa storia è come la nostra esperienza famigliare, e quella di molte altre come la nostra, può essere utilizzata per sensibilizzare lo sviluppo di una risposta pubblica coesa in merito ai Disturbi del Comportamento Alimentare. Quando la figlia più giovane si è ammalata di Anoressia e abbiamo cominciato la cura, anche io ho cominciato ad interagire con molti genitori e persone guarite da tutto il mondo. Con alcuni altri genitori, abbiamo dato inizio all'International Eating Disorders Action nel 2013 per contrastare la disinformazione di massa nei media, nelle organizzazioni ed anche all'interno della comunità di sostegno sui DCA stessa. Questo impegno di successo ha dato vita a diverse innovazioni; tra queste, un gruppo di supporto online 24-7 chiamato Eating Disorders Parent Support e un altro, World Eating Disorders Action Day, che abbiamo lanciato il 2 giugno 2016.
Amy Elizabeth Cunningham
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(translated and adapted from the original article on the World Eating Disorders Day official website)

domenica 18 febbraio 2018

La bellezza della fragilità


 

Spesso mi sono sentita chiedere: “Ma dai dca si guarisce? Si ritorna a fare una vita serena? Si riesce a ricostruire un buon rapporto con il cibo? Si impara nuovamente ad aver relazioni sane?
Si......la mia risposta è sì.....Ma, la domanda che poi mi sorge sempre è: “Ma che cosa si intende quando parliamo di guarire?
Tante volte mi sono posta questi interrogativi... Dopo più di 20 anni trascorsi in compagnia dell’anoressia e bulimia, in quel continuo dibattimento tra il tutto e il niente, trovare il punto di equilibrio non è stato facile. Ma, anche qui, che cosa vuol dire trovare il punto di equilibrio? Quando possiamo dire di essere guariti?
Ebbene, non è facile rispondere a questa domanda, anche perché la risposta esatta è dentro di noi e solo dopo aver fatto un certo percorso di conoscenza interiore, possiamo essere in grado di trovare la risposta vera, senza nasconderci dietro alle nostre convinzioni..
Ebbene, quello che sono riuscita a comprendere attraverso la mia storia personale è che si è guariti quando non siamo più dentro al loop mentale ossessivo che ci porta ad orientare tutta la nostra vita in base al cibo e alla forma corporea.
Si è guariti quando riusciamo finalmente a goderci gli attimi meravigliosi che la vita è sempre disposta a donarci in ogni momento...
Si è guariti quando non rifiutiamo più l’altro, ma anzi, siamo contenti di aprirci e condividere l’esperienza insieme.
Si è guariti quando la serata o i momenti passati in compagnia non sono più fonte di disagio e di fuga, ma sono fonte di amicizia, di unione, di appartenenza... Appartenenza... Non è una parola uscita a caso. Appartenenza significa far parte di un qualcosa di molto profondo... è un appartenere alla vita, al mondo, all’esistenza.
Sempre riflettendo sulla mia esperienza personale, ci si ammala per molti motivi. Non c’è una causa scatenante che fa scegliere la malattia come soluzione ad ogni problema interiore. Sono tanti i motivi e tante le storie che ruotano intorno al disturbo del comportamento alimentare, e ogni storia è profonda....ogni storia è ricca di sfumature, di sofferenza, di incomprensioni, ma anche di forza, coraggio, tenacia, desiderio...si...Desiderio... Il desiderio di ritornare a vivere.
Per quanto riguarda la mia storia e la domanda iniziale, si, sono guarita... Ma guarire non significa essere immuni dalla sofferenza e dalle difficoltà. La malattia mi ha dato tanto, mi ha dato gli strumenti per affrontare la vita.....certo.....ma come ho scritto prima, ci sono sofferenze profonde....ed è in questa profondità che occorre avere il coraggio di andare...andare ma  anche e soprattutto  ritornare.... ed io, in questo momento, mi sto avventurando nuovamente in questa conoscenza di me... Sono guarita dal sintomo della malattia, non soffro più di disturbi del comportamento alimentare... ma dentro di me è rimasta una parte molto fragile, che in questo periodo si è fatta rivedere molto spesso. È quella parte che non si sente mai all’altezza, che ha paura di non bastare mai, che teme di non avere uno spazio perché se non fa, non è...Ebbene, c’è questa parte fragile in me...Che orrore!!!!!! Ma.....mentre compare la parola orrore, mi viene da pensare ad una frase che in questi giorni mi è capitato di dire ad un gruppo di ragazzi e ragazze: “Non abbiate mai paura di mostrare la vostra fragilità, perché è proprio lì che sta la vostra ricchezza, la vostra unicità, la vostra bellezza più intima e profonda”. 
Ho riflettuto su questa frase, e l’ho affiancata alla mia fragilità e alla parola orrore. Subito, ho provato un senso di vergogna, di debolezza, di imperfezione, di disistima profonda verso quella Francesca che non è riuscita a diventare perfetta....Ma ecco accendersi il clic... no, Francesca non ha più bisogno di mostrarsi perfetta, nè di far vedere che niente la scalfisce perché la malattia l’ha resa invincibile...
Sorrido, sorrido a questi pensieri egoici, e mi rendo conto della bellezza di questa parte fragile ed umile che è rimasta intatta dentro di me e che non voglio sparisca, ma  anzi, voglio proteggerla, dandole però il suo giusto spazio.. Uno spazio fatto di convivenza e non di invadenza. Perché Francesca non è solo la parte fragile... Francesca è anche altro.. e così è per ognuno di noi...noi siamo anche altro...

Francesca

giovedì 15 febbraio 2018

La bulimia era un alibi



Continuando il percorso che sto facendo per tornare a ‘casa’, nella mia anima, sentivo sempre più forte il bisogno di affrontare il problema alla radice e provare a cercare l’origine del malessere che mi ha portato a rifugiarmi nella malattia dei DCA per 20 anni.
Fin da bambina mi sono creata una realtà ‘mentale’, l'amore dei miei genitori mi ha tenuta legata a terra, però come un palloncino non riuscivo a stare nella Vita, a sentirmi parte dell'Universo... c'ero ma in una mia dimensione... ‘nella testa’... finché sono andata all'asilo e alle elementari è andato abbastanza bene... l'impegno e le relazioni erano limitate... poi però la ricerca di identificarmi in qualcuno... ero rigida mi imponevo dei comportamenti imitando gli altri, non riuscivo a capire come si ‘doveva’ fare per avere amici, ridere, scherzare, anche piangere, emozionarsi... vivere.
Che fossi particolarmente sensibile l'avevano capito tutti, tranne me... così è continuata la separazione dalla realtà, dal mio corpo e l'evitamento delle emozioni di qualsiasi tipo... vedevo gli altri migliori a prescindere... i capelli di una compagna, i gesti di un'altra, il camminare in un modo e continuavo a cercare ruoli...
Cominciando a prendermi cura di me e ad amarmi, ho trovato finalmente il coraggio di guardarmi dentro, prendere contatto con me stessa, e provare, con estrema paura, a ri-sentire quel vuoto che era tutta me stessa.
Stavo e sentivo vuoto… una voragine nera… paura, panico…. avvertivo me piccola piccola. Ferma, immobile, tutta rigida, incapace di muovermi, paralizzata dalla paura, paura pura.
Non dolore o sofferenza, ma paura.
Ho percepito perfettamente il desiderio provato di tornare nella pancia della mia mamma e ho sentito rabbia nei suoi confronti perché facendomi nascere mi aveva... rifiutata, spinta fuori…. scaraventata alla vita... e non c'era ad abbracciarmi (le avevano fatto il cesareo e per qualche giorno sono rimasta sola)... mi è mancato il suo calore immediato, il suo abbraccio, il contatto con la mia mamma.
Mi aveva‘gettata’ alla vita e lasciata sola... non sapevo dove fosse avevo paura.
Quell'abbraccio immediato così importante, quello mi ha pietrificata…. non c'è stato. Il suo darmi alla Vita l'ho vissuto come un abbandono, come se mi rifiutasse, non mi voleva più dentro di lei, al caldo protetta e sicura, amata, legata fisicamente a lei.
Per questo ogni difficoltà è senso di abbandono, ogni dolore una paura che non sapendo gestire giustifico come fosse una mia colpa, per insicurezza mi identifico come la responsabile e fa meno paura dell’idea di non essere voluta.
Quando cercavo il trauma che giustificasse l’onta che sentivo…. immaginando mille cose terribili....non c'era niente... allora ho allontanato lo sguardo, ho guardato più da lontano e ho visto che quel vuoto non era enorme, l'addome di quello spirito famelico non era enorme e il collo non era troppo piccolo da impedirgli di saziarsi, era solo una dispercezione. Come quando mi fissavo i fianchi e li vedevo enormi rispetto a tutto il resto... non sono uno spirito famelico con un ventre enorme, il mio vuoto è quello che può contenere una bambina che ha solo tanta paura di crescere e cerca un manuale di istruzioni perché per i primi giorni non ha avuto la mamma ad abbracciarla e a rassicurarla e si è spaventata irrigidendosi e impedendo così all’amore, alla comprensione e a tutte le cose tenere di arrivare a lei.
Non ho un'onta da scontare....
Ho capito che ‘l’onta’, la vergogna era la bulimia ed era un alibi che mi raccontavo... non è diverso dall'anoressia, è un sintomo ma mi stavo di nuovo identificando... avevo di nuovo bisogno di un ruolo, perché non so chi sono, e un alibi per rimandare ancora il momento di accettarmi con le mie fragilità e ammettere che posso crescere da qui e ora... senza rimandare! La paura di Vivere è ancora talmente tanta che trovavo un ulteriore scusa con me stessa... non posso crescere, non sono degna, ho un'onta, non posso farmi amare, chissà poi cosa succede se mi lascio andare... ecco il problema della bulimia... accettare che ho saputo lasciarmi andare dopo anni di restrizione e di regole rigide che non erano me stessa, erano identificazioni in ruoli che creavo perché avevo paura e non sapevo come si faceva a essere semplicemente Micaela... invece ora vedo quel periodo come la dimostrazione che posso anche io lasciarmi andare, ma con equilibrio e in modo salutare... lasciarmi andare alla Vita!
Sel'anoressia mi dà idea della capacità che ho di essere forte e sapere stare alle regole, la bulimia è potermi lasciare andare…alle emozioni anche provare piacere, come tutti, nella felicità ordinaria... con la giusta misura, in armonia... Non vedo più la bulimia come vergogna, ma come un sintomo analogo all’anoressia, ho sofferto di entrambe... e per la PRIMA volta ho il coraggio di parlarne....
Non c’è un'onta nella mia vita, qualcosa da dover scontare o un dramma da scovare.... forse semplicemente una serie di situazioni mi hanno portata a vivere come un palloncino per aria, tenuta per fortuna dall’amore di mamma e papà... che ora sento tutto.
Non è facile ammettere con me stessa questo...
E' un po' una delusione non avere una 'motivazione' (di nuovo un 'ruolo in cui etichettarmi')... se non una estrema paura di vivere, una ricerca del manuale di istruzioni della Vita, che forse era tutto in quel mancato abbraccio alla nascita...
Forse per me non ci vogliono anni di percorso per vedere dentro e capire qualcosa di nascosto... ci vorrà tanto tempo per trovare gli equilibri, imparare ad ascoltarmi, sentire cosa mi fa stare bene... essere anche ironica delle mie debolezze... so che tendo a identificarmi per sentirmi sicura... ma avendone coscienza è già qualcosa a cui prestare attenzione... posso tenermi un palloncino in casa per ricordarmelo.
Ho anche pensato che brutta figura... non ho un trauma, un'onta, un'etichetta..
Ma cosa devo dimostrare? E a chi? Anzi per fortuna ... se poi mi sto sbagliando e sentirò che c'è altro chiuso nel cuore, verrà fuori... dai nodi non si scappa quando cominci a essere ancorata a terra... e ora lo sono! Ci sono, qui nel mio corpo, e questo per me è già una VITTORIA... non penso più al risultato, a vivere il ruolo perfetto, a fare felici gli altri, la felicità è dentro, come per tutti, e la sento... tutto viene di conseguenza...
Il manuale per essere Micaela è tornare a casa ed essere semplicemente me stessa, ascoltarmi e accettarmi come sono, senza aggiungere o costruire cose nuove, ho tutto dentro… posso aggiungere cultura, esperienze, persone ecc ma questo è crescere non aggiungere al mio essere, c'è già tutto così come deve essere... trovare un equilibrio nella mia integrità e farlo con gli altri, in mezzo agli altri non nel mio palloncino... ma nel mio corpo.... nella Vita ordinaria, e continuando a curare l'anima, ad amarmi con equilibrio e saggezza alzare ogni tanto lo sguardo e avere una visione d'insieme...
Insieme agli altri perché non mi devo vergognare di nulla! e tutti possono aiutarmi a non tornare nel palloncino… perché nessuno si salva da solo!

Micaela