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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

domenica 14 dicembre 2014

PERDONIAMOCI



E' passato molto tempo dall'ultima volta che ho lasciato un mio pensiero su questo blog,da allora come spettatore attento e partecipante ho visto fluire da qui storie di vita vera,spaccati di tragedie,luci di speranza.Ogni volta ho fatto del tutto, un po' di mio,rivissuto,analizzato a volte lucidamente,altre volte con la tristezza interiore che solo un senso di colpa a cui non possiamo porre rimedio riesce a dare;ma comunque con la consapevolezza di dover andare avanti per poter dare a tanti ciò che a me più è mancato:la cultura,la conoscenza,la sensibilizzazione che porta a sentirsi meno soli.In questo straordinario percorso di rete,tangibile e non virtuale,ho incontrato tante persone animate dai mie stessi propositi,tante si sono aggiunte cammin facendo,tante mi hanno detto” è tutto inutile”e altre”io non ne voglio sapere più nulla”;tutti capibili e tutti rispettabili,ma una persona con cui scambiai solo poche parole un giorno seppe darmi la consapevolezza di essere sulla strada giusta per poter aiutare e tornare a vivere serenamente.Troppo spesso noi affianchiamo la felicità a stereotipi:la famiglia tipo Mulino Bianco,il successo,la laurea piuttosto che il diploma con il massimo dei voti,la bellezza,la salute ed altro ancora.Ma quando qualcosa gira storto?Umanamente non lo accettiamo,è una sconfitta e come tale la viviamo;ma non è così,il nostro percorso comprende anche quelli che noi vediamo come ostacoli alla nostra felicità:un lutto,una malattia,un amore finito,una bocciatura,una separazione,una ricaduta e altro ancora ci portano spesso a colpevolizzarci.Questo grande Papa che si fa sentire vicino a noi, spesso ci parla di perdono,da vivere come benessere,perchè quando riusciamo a lasciar andare acredine,risentimento,improvvisamente ci sentiamo meglio, il cuore diventa leggero,e questo è alla base della carità cristiana da oltre duemila anni. Io penso(e la mia sorella di dolore me ne ha dato la certezza)che chi vive la propria lotta con un dca,sia che lo viva in prima persona,sia come genitore,famigliare o amico debba fare un'ulteriore semplice passo oltre a perdonare;PERDONIAMOCI.
E' un passaggio fondamentale per capire le nostre sconfitte, i nostri errori, e ripartire più consapevoli e ove necessiti chiedere aiuto,il quale non va visto come una resa,ma come un gesto di umile coscienza.Quindi ragazzi,ragazze,mamme,papà PERDONIAMO e soprattutto PERDONATEVI perché la guarigione è sempre dietro l'angolo ed è alla portata di tutti,auguro a tutti serene feste cariche di speranza,ed infine ringrazio colei che ha ispirato questo post e confermato le mie certezze:Buon Natale Anneliese!

Stefano

martedì 9 dicembre 2014

Gli Angeli esistono?

Gli angeli esistono? esiste un qualcosa che ti protegge, una qualche forma ,uno spirito celeste , un illusione, una fantastica figura che ti abbracci e che ti stringa a se con un animo gentile e paterno.....
Non so se gli angeli esistano davvero, ma so e ne ho prova personale che un aiuto dall'alto ci viene dato.
Io adoro il cibo, adoro mangiare ed è per questo che sono stata ammalata per 30 lunghi anni. Per tutti questi anni ho sempre rifiutato l'idea di guarire, o meglio, provandoci da sola nn ne sono mai stata capace; Poi quando tutto sembrava perso, quando tutto sembrava ridotto ai minimi termini Nicoletta ha capito che l'ora era arrivata: un fulmine a ciel sereno! e quel cielo grigio che da tanto, da troppo tempo aveva reso la mia vita un incubo, si colorava di un azzurro immenso.
Chissà cosa è stato che mi ha dato quella forza. Chissà che è stato che mi ha dato quel coraggio di espormi e di voler liberarmi della bulimia . A 46 anni ,e nn da adolescente. Perchè è a quell'età che i disturbi alimentari si manifestano nel nostro corpo ma ancor più si insinuano dentro la nostra mente, lasciando a noi l'ingrato compito di essere quello che nn vorremmo mai.
La rabbia , i disagi interiori, le tensioni,l'etica, i canoni di bellezza, i mass media, gli amici, le maschere che si indossano, la falsità, la morale, tante cose che messe insieme ti lasciano il segno.
E quando ti trovi a fare i conti con qualche cosa che è più grande di te, che ti sembra una montagna altissima , e tu sei ancora piccina e nn tanto per gli anni che hai, ma quanto per il turbinio di sensazioni e dolori che in poco tempo ti hanno catapultata nella fossa più buia......
in poco tempo ti ritrovi in un groviglio di rovi dal quale vorresti uscire; ma se ti muovi o avanti o indietro, tutto quello che ti senti è lacerazione totale! Un dolore che ti toglie il fiato per cui l'unica soluzione per te in quel momento è rimanere lì ferma in attesa. Una lunga ma controllata capacità di lasciarsi andare, cullare da un disturbo che diventa così l'unica possibilità di scelta. QUELLA DI ISOLARSI PER NN PROVARE PIU' NESSUN DOLORE......
Non è facile credere in se stesse quando hai tutto contro. Non è facile provare amore per se stesse quando tu nn hai nemmeno quella piccola sufficiente dose di autostima ; nn è facile per niente liberarsi di un disturbo alimentare.
MA IO SO, CHE 'VERAMENTE ESISTE UN QUALCHE COSA CHE PRIMA O POI TI FA RITROVARE LE ENERGIE CHE SEMBRAVANO PERSE PER SEMPRE!
Non avrei mai creduto che dopo trentanni di malattia potessi guarire, (e dio solo sa la fatica in quei tre mesi di clinica) che dopo trentanni la mia vita da inferno potesse riacquistare luce, nn mi sarei mai e poi mai aspettata che qualcuno chiedesse a me Aiuto!
E di questo sono felice,Sì! sono felice che la mia guarigione possa servire da stimolo ad altre ed altri che soffrono degli stessi disturbi e nn solo; che possa aiutare quei genitori che disperati nn sanno cosa fare per i loro figli....
Tutto è possibile!
Una volta nn l'avrei mai detto, ora però ad un anno esatto dalla mia uscita da Villa Margherita, sostengo che con coraggio e con palle cubiche si riesce ad ottenere risultati che sanno dell'incredibile!
NN MOLLARE MAI! FINO ALLA FINE!
E se durante il percorso qualche ostacolo ci fa lo sgambetto, rialziamoci subito. Una ferita si cicatrizza prima se ricordiamo il dolore che ci ha causato. e...nn esistono tempi, età,....i disturbi alimentari colpiscono a qualsiasi età. Nascono subdoli quando meno ci accorgiamo e ri radicano in noi con malessere dentro di noi. Ma quale voler apparire, quale voler essere bella!
Disturbo alimentare è uguale disagio, rabbia, malessere interiore, ferite, morte!
MA NN VI è ETA' DI GUARIGIONE........
TRENTANNI DI MALATTIA ......DAI 16 ANNI AI 46 ANNI.
47 NE HO COMPIUTI IL 29 OTTOBRE 2014.....
47 ANNI ED ORA SONO FELICE VERAMENTE DI VIVERE !!.
Nico


mercoledì 3 dicembre 2014

Il peso di un adolescente obeso



Scrivere questo articolo non è stato facile per me,come non lo sarebbe stato per qualsiasi persona con un passato da adolescente obeso (o in forte sovrappeso). Perché il peso in questione non è solamente grasso che avvolge le ossa e fa massa con i muscoli,ma è anche,e soprattutto,il disagio psicologico di essere considerati diversi. Si,”diversi” in forte senso dispregiativo,come se l'avere quel grasso in eccesso fosse una colpa da espiare con umiliazioni,solitudine e discriminazioni.
Io non ho ricordi di feste memorabili,esperienze che tutti fanno in quel periodo della vita (le prime uscite,gli amici,i primi amori..),ma di dolore e asocialità forzata,e,se raccogliessi i miei pensieri da adolescente da ogni cassettino della memoria,potrei portare solo la negatività del sentirmi inadeguata,non degna di avere una vita normale come ogni ragazzino/a della mia età.. Eppure,con il senno di poi,mi rendo conto che proprio quel dolore e quelle emozioni negative,sia verso il mio corpo che verso gli altri,mi hanno resa la persona sensibile ed empatica che sono ora,una donna che non punta il dito verso chi non è particolarmente attraente e in forma perché sa il mondo sommerso che sta in quel cuore e in quell'anima. Forse devo anche benedire quel periodo,perché ora potrei essere una di quelle persone che giudicano l'involucro della gente senza conoscere ciò che contiene.
Certo è che,purtroppo,ciò che fa notizia è la dimensione negativa e le angherie portate all'estremo (come la storia di Vincenzo,il ragazzo violentato con un tubo di aria compressa solo perché obeso),mentre le storie di quelle persone (forse in minoranza,ma che esistono) che vanno oltre l'aspetto fisico e sanno mantenere relazioni sane con chi è in obesità non vengono mai raccontate,perché “non fanno notizia”. Specchio di una società che evidenzia l'estremo negativo ed ignora le piccole belle cose che possono far sperare che questo mondo non faccia così schifo,che ci sia speranza di piccoli passi che allarghino gli orizzonti di certe menti ottuse. Ed è male.
Il problema di questo rimarcare la negatività è che,da chi non ha l'intelligenza emotiva di pensare con la propria testa e agire in modo sensato,la si rende normalità. Quindi certi adolescenti incoscienti perpetrano una realtà fatta di scherzi di cattivo gusto (resi ancora più fruibili al mondo attraverso i social),epiteti dispregiativi e,nei casi più estremi,angherie come quella fatta a Vincenzo. In quest'ultimo caso,oltre al fatto in sé,ciò che ci dovrebbe far riflettere è anche l'atteggiamento di alcuni genitori degli aguzzini,che l'avevano definito “un gioco”. Uomini e donne che,probabilmente,non erano stati educati alla tolleranza dai propri genitori nella propria adolescenza e che hanno trasmesso ai propri figli gli stessi ideali distorti. Una catena di ottusità che potrebbe essere spezzata con più spunti di riflessione ed esami di coscienza che ognuno di noi dovrebbe farsi almeno una volta nella vita,per evitare che casi estremi non si ripetano e che gli adolescenti di oggi possano avere strumenti per crescere in modo più sano e consapevole,per essere genitori che possano trasmettere ideali di tolleranza e rispetto per la diversità (che sia morfologica,di orientamento sessuale,di credo religioso,etc..).
Difficilmente ci sono casi estremi come quello di Vincenzo e ci sono situazioni che non vanno oltre lo 
"sfottò”,ma,oltre ad educare ed educarci nel frattempo,nulla è da sottovalutare. Perché,se è possibile tamponare alcuni atteggiamenti nel tempo,è invece impossibile prevedere la reazione di chi quelle angherie le subisce,di chi si sente costantemente sbattere in faccia il concetto “Tu sei grasso,non vai bene/vergognati”:c'è chi sopravvive a questo periodo critico e diventa una persona migliore e più consapevole,c'è chi cerca “conforto” nelle dipendenze e nei disturbi alimentari,e c'è chi sente quel peso fisico e psicologico insopportabile e si toglie la vita per non sentire più in ogni senso. E nessuno,me inclusa,può sapere come ogni adolescente potrà uscire da questo periodo critico,se solo ammaccato emotivamente,distrutto nel profondo o privato della voglia di vivere.
Certo che non aiuta una moda giovane (come quella adulta,nella maggior parte dei casi) che è spesso riservata ad alcune taglie standard ed esclude quelle più abbondanti,costringendo persone più in carne a ripiegare su indumenti poco adatti alla propria età o spendere il triplo dei soldi per averne di più decenti,e nemmeno l'atteggiamento dei media che bombardano di immagini (ritoccate ad hoc con Photoshop) e trasmissioni con personaggi spesso di magrezza allarmante,che incoraggiano adolescenti insicuri a massacrare il proprio corpo di diete spesso squilibrate e stravolgere la propria immagine per assomigliare al proprio idolo del momento.. Succede spesso a chi è normopeso,e,per chi ha obiettivamente chilogrammi di troppo da perdere,assume una dimensione devastante.
Ho letto molto spesso di adolescenti anoressici americani (che,in alcuni casi,oscillano fra bulimia e anoressia o viceversa) che hanno un passato da obesi,che hanno ceduto alla pressione della società e degli ideali dei media danneggiando il proprio corpo con diete folli ed esercizio fisico portato all'esasperazione. Tutto per essere accettati,o,almeno,tollerati. Perché nessuno ha detto loro che perdere quel peso fosse necessario per non incorrere in problemi di salute evitabili nel tempo,non c'è stata una corretta educazione alimentare e la vita frenetica (e/o la pigrizia) spinge a consumare pasti nei fast food,veloci e a poco prezzo,piuttosto che orientarsi al prepararsi a casa pasti sani ed equilibrati. Un silenzio di coscienza che porta al silenzio di quel tunnel del disturbo alimentare,soli a lottare contro a giganteschi demoni interiori per non essere esclusi dal mondo.
A questo punto chiunque potrebbe dire “Ma la speranza,dove sta in tutto questo?”. Me lo chiederei anch'io stessa,se fossi una persona che leggesse per caso queste parole,ed ora non ho alcuna intenzione di dire che “una speranza c'è,basta cercarla”. Perché,in realtà,io penso che vada coltivata,ed annaffiata con tanta consapevolezza e voglia di cambiare certe dinamiche.
Il destino di chi affronta l'adolescenza in obesità non è per forza il bullismo,dipendenze e disturbi alimentari,non è un percorso già tracciato senza possibilità di sconfinare in altre strade. Possiamo deviarlo educando i nostri figli alla tolleranza di chi appare diverso da loro,insegnando loro a nutrirsi in modo sano se loro stessi sono in obesità e facendo loro capire che devono perdere peso per una questione di salute e non puramente estetica,coltivando piccoli semini di autostima nei piccoli gesti quotidiani (il prendersi cura di loro stessi,in primis),non sottovalutando episodi di bullismo e discriminazione ed esortandoli ad aprirsi nel caso in cui ne subiscano uno. Prendendoli per mano,non lasciandoli a loro stessi. Gli adolescenti hanno un'intelligenza molto spesso spiccata,ma,se non guidati nella giusta direzione,non possono ambire al cambiamento.. Da qui dobbiamo partire.
Scrivo le ultime parole con il sorriso,con la mente sgombra da antichi dolori e con un viso diverso da quello che era sempre inondato da lacrime anni fa. Perché ora sono diversa,nonostante i trascorsi di bulimia nervosa alimentati anche dall'adolescenza difficile,e ho avuto l'occasione unica di condividere questo mio percorso per far riflettere qualche persona in più.
Tutto può essere cambiato e deviato da un percorso prestabilito,basta volerlo.

Petra

mercoledì 19 novembre 2014

Vivere l'anoressia




Cosa significa vivere, viversi l'anoressia? Semplicemente sentirla, sentirsela addosso, farla parlare, ascoltarla. Può sembrare assurdo ma non lo è. Divenendo parte di te non la vivi ma la subisci, si permea diventando un tutt'uno con te e il livello di coscienza è pari a zero. Quando entrai in clinica per iniziare un nuovo percorso di cura una delle prime cose che ho abbracciato è stato proprio quello di imparare a sentire l'anoressia. Può sembrare quasi illogico perchè uno dei primi pensieri generali e anche il mio potrebbe essere ed era quello di fermarla. Ma per fermarla devi prima 'conoscerla' non subendola ma vivendola. Una tappa necessaria, obbligata del percorso di cura. Diventando succube di essa in realtà è come se non sapessi di cosa si tratti nonostante ti abbia accompagnato per tanto tempo. Per otto anni fondamentalmente non l'avevo mai vissuta, proprio perchè non avevo vissuto la sofferenza. Far parlare il sintomo come veicolo di sofferenza quindi dare la possibiltà di comunicare il dolore attraveso esso ma con consapevolezza, coscienza per poi lasciarlo in maniera graduale, con tanta pazienza e trovare nuovi canali comunicativi. Come puoi pretendere di lasciare andare completamente qualcosa se prima non l'hai conosciuta con coscienza e consapevolezza? Devi capire fondamentalmente cosa devi lasciare andare soprattutto se ha fatto parte di te per tanto tempo.Diventando l'immagine dell'anoressia, diventi tu stesso il tuo primo nemico così come lo è cibo, e abbandonarla significa fondamentalmente lasciare questo nemico e cominciare a trovare, a vedere, a sentire un alleato, e che ALLEATO, te stesso e di conseguenza il cibo.
Rosy

venerdì 24 ottobre 2014

Affiancare la malattia nella consapevolezza




Insieme si può....


La mia anoressia fondamentalmente non è solo il segno di un mio disagio ma anche di quello della mia famiglia. Si perché anche se sto vivendo in prima persona questa malattia i miei cari comunque vi sono coinvolti in maniera significativa. Mi sono fatta portavoce di un dolore, di una sofferenza che ha sempre riguardato anche i miei familiari e se in qualche modo mi ‘sono sacrificata’ diventando il simbolo di un malcontento 'generale', sto toccando da vicino la loro di sofferenza fatta di senso d'impotenza, di sensi di colpa, di insoddisfazioni, di annichilimento. Se per otto anni il mondo che c’era dietro la malattia è stato messo a tacere perché nessuno di noi l'ha mai accettata, ora che questo mondo o meglio universo sta uscendo fuori, tutto è altrettanto difficile ma ha tutto un altro senso, ha SENSO. Già perché se per otto anni le difficoltà create dai troppi silenzi, dai tabù , dalla paura di esporsi e fare finta di niente appariva come la strada più semplice da percorrere, l'unico modo per difendersi, ora guardando in faccia la realtà stiamo trovando la giusta forza per non nasconderci più e per combattere.Ora ci ritroviamo insieme a fare i conti a viso aperto con la malattia, le difficoltà sicuramente non mancano ma c’è qualcosa di diverso. Sento che sto combattendo con loro, che anche se impotenti davanti a determinate situazioni, tante volte anche per me incomprensibili, non c’è GIUDIZIO ma CONSAPEVOLEZZA. Come 'ci sto ' io nella sofferenza stanno imparando 'a starci' anche loro, anche se in tanti momenti provano rabbia perché vorrebbero togliermi almeno un po’ del dolore che sto provando. Bè che esca fuori questa rabbia, che si faccia avanti e non rimanga soffocata come se non ci appartenesse. Che ognuno di noi si riprenda il proprio carico di sofferenza e ci faccia i conti. Certo sto facendo e ho fatto i conti anche con alcuni loro 'limiti' anche di comprensione, dettati dalla loro storia di vita, dalla loro percezione di essa e da alcuni schemi mentali strutturati nella loro mente da troppo tempo e che non si può avere la pretesa di distruggere in toto . Però anche i loro piccoli passi o comunque quelli che obbiettivamente possono apparire come tali, soprattutto perchè si ha come metro di misura i propri che inevitabilmente possono essere diversi perchè sei tu a vivere in prima persona la malattia o perchè puoi anche avere una propensione diversa al cambiamento, cerco di guardarli e sentirli rapportali al loro sforzo e considerarli nella maniera giusta. Con il tempo e attraverso il mio percorso sto imparando anche ad accettare il loro modus vivendi senza farmi fagocitare dalle loro difficoltà, dal loro 'fare poco rispetto a quello che sto facendo io' accettando e dando una dimensione diversa al loro agire, o non agire, al loro fare e al loro non fare. Tutto questo DIFFERENZIANDOMI.
Rosy

venerdì 17 ottobre 2014

MI NUTRO DI PAROLE

Mi nutro di parole per iniziare nuovamente a nutrirmi di vita, scrivendo le mie esperienze di sofferenza, cercando di dare ordine alle sensazioni contrastanti che opprimono il mio cuore attraverso la narrazione di cosa sto vivendo. Senza temere lo sguardo dell'interlocutore. Lasciarmi andare al fiume di parole che rompe gli argini del mio essere per liberarsi su un foglio e liberarmi da un peso. La scrittura autobiografica può costituire un aiuto per ricominciare, per mettere un punto fermo su ciò che è stato, per non dover dire sempre domani, domani mi impegnerò a riemergere. Poter rileggere quello che ho scritto e, specchiandomi in tanto dolore, urlare mai più oppure, riflettendomi nelle parole di un altro, comprendere che non sono sola in questo cammino di rinascita.
Ilaria Caprioglio (scrittrice)

giovedì 9 ottobre 2014

Ancora Rosy.... altre riflessioni


Rosy si racconta e ci racconta...

Paura di star bene

Avvicinarsi alla normalità…una cosa eccezionale e per assurdo ‘da temere’…già perché l’anoressia è anche questo….paura di star bene, di essere ‘normale’…La tua mente che gioca davvero brutti scherzi vorrebbe che tu fossi notata attraverso i segni della malattia e allo stesso tempo vorrebbe che tu passassi inosservata, che fossi invisibile…la contraddizione per eccellenza….usare la malattia come mezzo per comunicare la tua diversità, la tua ‘unicità’ perchè in mezzo alla ‘normalità’ davvero non ti senti a tuo agio. Senti che la tua essenza che vorresti prevalesse, che ti rappresentasse in tutto e per tutto, non riesce ad uscire nella sua interezza, è sempre una voce strozzata. E allora il fisico diventa un ostacolo, inconsciamente vorresti annientarlo perché ti senti solo ‘contenuto’ e non ‘forma’. Quindi se il tuo essere non riesce ad uscire, forse perché lo senti imprigionato materialmente in un corpo, quest'ultimo non deve esistere. Un essere annichilito in un corpo annichilito. Un conflitto continuo che in maniera subdola e illusoria si mostra come una sorta di equilibrio, l'unico equilibrio. L'equilibrio del non esserci. Nell'annullamento totale di te stessa trovi il tuo equilibrio. Un equilibrio che devi rompere vivendoti il reale squilibrio, quello tra spirito e corpo per poter trasformare quel conflitto in fusione. E questo è un altro dei mille volti dell’anoressia.

Un bacio
A presto
Michi

 

martedì 7 ottobre 2014

Anche gli EDNOS soffrono

Carissimi,
vi scrivo per raccontarvi la mia esperienza al Centro Disturbi Alimentari di Genova.
Io mi chiamo Ilaria e la mia serenità dipende in toto dal numero che ogni mattina compare sulla bilancia. Non sono magra, non sono grassa. Sono normopeso e detesto mangiare. Ma ho sempre fame. Insomma, sono incastrata nel limbo degli EDNOS, quelli che sono disturbi alimentari generici, difficili da catalogare, troppo pesanti per conviverci, troppo poco influenti per considerarli importanti e degni di essere curati.
Ogni singolo giorno, per 10 anni, due dita in gola hanno fatto sì che il mio stomaco espellesse ogni alimento ingerito e ritenuto eccessivo. Poi sono iniziati i dolori allo stomaco e le ricerche su internet. Ho capito che mi stavo distruggendo e con molta, molta, molta forza di volontà, ho smesso di vomitare.
Ovviamente, questo, è servito solo a peggiorare la mia situazione psicologica.
Ma io non vi sto scrivendo per descrivervi il percorso di crescita del mio demone, ma per raccontarvi di come chi avrebbe dovuto darmi una mano a combatterlo, lo ha solo nutrito e fatto sviluppare.

Per qualche anno, ho cercato il coraggio di farmi aiutare. 
Questa primavera, poi, stanca di contare ogni singola caloria ingerita, di sentirmi in colpa per qualsiasi alimento assunto che non fosse frutta o verdura, stanca di essere torturata dal desiderio e dal senso di colpa, stanca di guardarmi allo specchio e vedere una ragazza orrenda e grassa, ho trovato finalmente la forza di contattare telefonicamente il Centro Disturbi Alimentari di Genova Quarto.
E' stato difficilissimo fare quella telefonata. Non so quante volte ho fatto il numero e riattaccato il telefono, decine, forse. 
Così come è stata una vera sfida di coraggio, dover andare dal mio medico generico a chiedergli la richiesta precisamente per "Consulto psicologico per disturbi alimentari". 
Insomma, io adesso, dal mio medico, non ho più il coraggio di andarci. Mi faccio lasciare le ricette in farmacia.

Comunque, armata dei rimasugli della mia forza, inizio il mio percorso.
Ho compilato questionari, risposto a domande, fatto visite, prelievi, esami.
Sono nella norma. I valori vanno bene, il BMI è normale. Il peso anche. La mia dieta è equilibrata. Migliorabile, ma equilibrata.
Dai primi giorni di giugno ai primi di agosto, sono stata seguita dalla psicologa, che ha iniziato a scavare per capire, per capirmi. E io, accecata da una fiducia che arrivava solo dalla disperazione, ho vuotato il sacco. Ho tirato fuori ogni cosa, ogni sofferenza, ogni frustrazione. Ed ogni volta lei mi guardava e sembrava aver trovato il problema.
Un'insoddisfazione generale della vita, il rapporto con mia madre, paura, mancanza di autostima, senso di colpa generalizzato, tensione accumulata. Persino il respiro affannoso, era un problema da risolvere.
"Adesso cerco di farmi un'idea generale." e "Poi ci lavoreremo.", erano le frasi che le sentivo dire.

Poi sono andata due settimane in ferie. Settimane in cui ho perso completamente il controllo sulla mia alimentazione e sulla mia persona. Sono caduta in un baratro e avevo bisogno di parlare con qualcuno, ma anche gli psicologi hanno bisogno delle vacanze e, quindi, fino a settembre, non se ne sarebbe parlato di un colloquio.

Ed eccoci ai giorni nostri.
Il 9 settembre, con il cuore disperato e confuso e con un corpo sgraziato e idealmente appesantito da cibi che non avrei ma voluto mangiare, sono andata alla mia tanto agognata seduta. E le ho detto tutto. 
Di quanto sono difficili le ferie, se hai paura di mangiare e se chi è con te non capisce. Di quanto mi sono sentita persa e disperata. Di quanto avrei voluto potermi cucire la bocca, per non inghiottire più niente.
Ebbene, il il suo parere è che io sono solo un pò confusa e non riesce a capire da dove nasce il mio malessere. Un bell'appuntamento con la dietista che schematizza il mio regime alimentare e tanti saluti. 
"Poi, se tra qualche tempo stai ancora male, SEMMAI, ci sentiamo."

Un pò confusa, ma tutto sommato ancora vogliosa di uscirne, mi reco dalla dietista, la quale, candida come una nuvola, mi chiede come va con la dieta e se ho difficoltà a seguirla.
QUALE, DIETA?
Un foglio datato giugno, con il regime alimentare che avrei dovuto seguire e che nessuno si era mai preoccupato di darmi.
Un regime alimentare i cui pasti sono il doppio di quelli a cui sono abituata, che mi è stato consegnato con l'ordine di seguirlo e la promessa sarei stata meglio e che, comunque, loro avrebbero ricontattato a breve.
E che io mi sto sforzando davvero di seguire.

E' passato quasi un mese, da quando mi hanno dato questa dieta. Ovviamente, mangiando il doppio di prima, ho messo su peso. Ovviamente, sono disperata. E, ovviamente, nessuno si è più interessata alla mia situazione.

Il problema è che io ora, non solo sono sempre ossessionata dal mio aspetto fisico e dal terrore di ingrassare, ma ho anche da affrontare tutta la serie di demoni che qualcuno ha risvegliato, senza preoccuparsi di darmi gli strumenti per farlo e lasciandomi completamente sola.
Sapete come mi sento? 
Mi sento come se avessi cercato qualcuno con un estintore che mi aiutasse a domare un falò indisciplinato e quel qualcuno fosse arrivato con un estintore pieno di benzina. E poi mi avesse lasciato in mezzo al bosco incendiato, con un bicchiere d'acqua in mano, dicendomi "Ti basta, per spegnerlo."
Insomma, sto peggio di prima. E in più sono arrabbiata. Con loro, con me stessa.

Insomma, io capisco, che ci sono persone più gravi che meritano di essere seguite con più attenzione. Ma anche le persone come me, stanno male.
Anche se non siamo obese o pelle-ossa, soffriamo.
Anche un'influenza va curata, sebbene non sia grave come una polmonite.
Non sono pentita di aver cercato aiuto, ma sono dispiaciuta ed amareggiata, di essere incappata in persone incompetenti.
Non so se voi siete le persone giuste a cui raccontare questa storia, ma mi piacerebbe che fosse pubblicata sul vostro blog, così, per condividere e confrontare un'esperienza.

Anche gli EDNOS soffrono.

Grazie.Ilaria

mercoledì 1 ottobre 2014

SENTIRSI

E' solo un jeans eppure....

Quante volte un indumento diventa un mezzo per testare la nostra forma fisica....quando sentiamo un pantalone troppo stretto ci scoraggiamo un pò pensando a quando invece lo sentivamo più morbido addosso, oppure ci sentiamo soddisfatti quando questo lo sentiamo meno aderente perchè è il segno di un dimagrimento...bè questo può rientrare nella normalità...il discorso cambia quando invece diventa un'ossessione e il test esprime un giudizio, o magari può diventare un modo per avere un riscontro con la realtà, quella realtà che appare completamente distorta a chi soffre di DCA. Ricordo ancora un episodio dei primi anni di malattia, quando la mia dimensione del reale era esageratamente MIA. Una mia amica, di costituzione esile, si offrì di regalarmi un paio dei suoi jeans. Quello che mi disse fu 'Rosy, spero che tu non ti offenda, ma sai ho un paio di jeans che non mi stanno più, sono nuovissimi e sarebbe un peccato buttarli, penso proprio che a te starebbe benissimo'. In quel momento per me completo smarrimento....un interrogativo su tutti 'Com'è possibile che pensi che un suo paio di jeans potrebbe starmi bene? Lei è molto magra....ma come mi vede?'. Bè fatto sta che accettai. Di ritorno a casa provai quei pantaloni e per mia grande sorpresa mi stavano e non erano neanche eccessivamente aderenti. Quell'episodio non mi scivolò addosso come se niente fosse anzi....fu per me un tonfo al cuore, un'avvisaglia, il messaggio chiaro che mi diceva 'Rosy hai una visione alquanto distorta della realtà, non sono i tuoi occhi a guardare ma è la tua mente che sta guardando quello che non esiste'. Questa fu una delle mie paure, averla sentita e riconosciuta contribuì a darmi forza nell'affrontare la malattia. 
O ancora la targhetta, quella semplice targhetta che può diventare anch'essa testimone della tua confusione. Circa un anno fa guardai la targhetta di un mio paio di Jeans che indossavo ma che sentivo che stavo per abbandonare, percependo i cambiamenti del mio corpo. Che rivelazione.....su quella targhetta c'era scritto 12 anni. Sconvolgimento totale. Il mio corpo quello di una dodicenne. Un corpo da dodicenne dal quale piano piano e con tante difficoltà mi sto distaccando.Crescere, cambiare quanto è dura, e che paura ma quanta voglia anche di farlo di sentirmi una trentenne nel corpo di una trentenne. Una commistione di emozioni e sensazioni diffiicili da descrivere ma sulle quali ho riflettuto e anche adesso rifletto ma in maniera ancora diversa. 
Quel fastidio che puoi provare nel sentire i pantaloni aderenti al corpo, si traduce molte volte nel volerti addirittura strappare la pelle di dosso semplicemente perchè quel contatto pelle-vestito è un modo per sentirti, o anche per trasferire l'idea che come le emozioni ti stiano soffocando in quel momento anche un paio di pantaloni lo stia facendo

Rosy

domenica 28 settembre 2014

La mia storia

Non ho vissuto un'infanzia spensierata e da ricordare con nostalgia:subire abusi sessuali da molto piccola e per parecchio tempo,per giunta da un famigliare stretto,mi ha fatta crescere molto troppo in fretta e mi ha sempre fatta sentire diversa. Terreno fertile per un disturbo alimentare,che non si è nutrito di semplice mancanza di autostima ma dall'odio per un corpo,il mio,che mi faceva sentire sporca.
Ero anche una bambina di salute molto cagionevole,che non voleva nutrirsi,e avevo addosso tutta la mia famiglia (che non sapeva cosa stessi vivendo) che mi spingeva continuamente a mangiare,per paura che non riuscissi a crescere. Pian piano mi rendevo conto quanto il cibo mi facesse star bene,non mi ammalavo più,e mangiare era diventato un qualcosa di positivo,di piacevole. Con quella nuova consapevolezza,il peso iniziava ad aumentare velocemente,e io diventavo sempre più paffutella.
I bambini si sa,sanno essere davvero cattivi,ed ero diventata lo zimbello della scuola,derisa da tutti e vittima di ogni scherzo possibile ed immaginabile. Mi si faceva sentire brutta,tanto che mi convincevo di esserlo veramente,e ciò che stavo vivendo mi spingeva ad essere trasandata e vestita senza alcuna cura,per paura che qualcuno mi guardasse. E che,soprattutto,mi toccasse di nuovo.
Gli anni passavano,io ingrassavo sempre di più,e mio padre iniziava a darmi soprannomi poco piacevoli come "Fagiolo" e "Maiale",prendendomi costantemente in giro per i miei rotoli di ciccia ed imponendomi di vestire con abiti-tenda,lunghissimi,per mascherare tutto quel grasso. Lui si vergognava di me,continuava a dirmi che avrei dovuto essere magra "per mettere le minigonne che mi coprissero a malapena il culo" e "per essere una persona normale". E io non lo ero,era evidente sia a me stessa che a chiunque mi circondasse.
Mangiavo di notte,di nascosto come una ladra e con una foga senza precedenti,anche roba cruda e fredda di frigorifero o addirittura di freezer (come ravioli o minestrone surgelato,fatto a pezzi alla bene e meglio). E mi sentivo bene,confortata da quello tsunami emotivo che si placava con quell'abitudine malsana,da quel masticare velocemente il cibo che scaricava tutta la tensione che avevo dentro. Poi mi sentivo una merda,ma non potevo farne a meno. Il cibo,ormai,era il mio amico più fedele,la mia valvola di sfogo segreta,una grande parte di me.
Questa routine era un appuntamento fisso,e io la tenevo viva incurante delle prediche di mio padre sul cibo sparito durante la notte, sprofondando sempre più nell'abisso delle abbuffate compulsive. Fino ai 21 anni,quando,portata allo stremo da troppe responsabilità che mi erano piombate addosso (prima l'assistere mio padre bloccato per 9 mesi dopo un incidente e con lo stress alle stelle,poi per la depressione grave di mia madre che tentava di strozzarsi da sola giorno e notte),scoprivo l'altro mio Male:il vomito autoindotto.
Potevo mangiare ciò che volevo,tanto poi l'avrei rigettato fino all'ultima briciola,e con il tempo scoprivo metodi sempre più bizzarri per rigurgitare tutto,a costo di avere la lingua che non sentisse più alcun sapore,imparavo a vomitare senza emettere alcun suono. La mia famiglia continuava la sua vita senza grandissimi scossoni,e ogni giorno io mi massacravo nel bagno con le dita in gola,anche 3 volte nella stessa giornata. Nessuno se ne accorgeva,e io scivolavo sempre più nel baratro. Nel frattempo,ero anche diventata schiava dei lassativi,dai quali c'era sempre più dipendenza e assuefazione,con la dose in costante aumento. E nessuno sapeva.
Solo 2 anni dopo avevo avuto il coraggio di dirlo a mio padre,forse con un briciolo di lucidità che mi desse la forza di chiedere aiuto. La sua risposta era stata "Ho già tua madre da accudire,non ho tempo per due persone",e in quel momento avrei voluto non esistere,non essere più un problema. Più volte,in preda alla disperazione,avevo ingurgitato quantità massicce di tranquillanti e ansiolitici,e ricevevo solo urli e schiaffi in cambio. Nessuna carezza,nessuna mano che si tendesse verso di me. Con il senno di poi credo che non volessi davvero morire,che,piuttosto,volessi essere stretta fra le braccia dei miei genitori e che qualcuno mi dicesse "Hey,Petra,andrà tutto bene,ci sono io con te!". E invece il vuoto.
Mi ero ridotta ormai ad ammazzarmi di abbuffate stratosferiche ed estenuanti "sessioni" di vomito,fino a quando un ragazzo,conosciuto in internet per caso e con il quale avevo poi iniziato una relazione,mi aveva convinta ad andare da una psicologa della sua città (Parma,a 130 km dal mio paesino in provincia di Bergamo),rispondendo alla mia richiesta di aiuto non appena avevo realizzato di avere un problema. Lei era stata la prima di svariati psicoterapeuti,senza contare dietisti e psichiatri,e una delle tantissime spese che quella malattia mi aveva comportato fino alla cosiddetta "guarigione". Il conto salato della bulimia nervosa.
Solo a 28 anni avevo avuto la fortuna di incontrare la "mia" psicologa,una persona dolcissima che mi era stata consigliata dall'ennesima dietista,e che mi sapeva prendere per mano e guidare verso nuova consapevolezza. E una nuova speranza,che ormai non pensavo più di poter conoscere.
La frase "Mi sa che ci vedremo ancora per poco,tu sei guarita" arrivava come regalo per i miei 30 anni,senza che nemmeno mi ricordassi di essere mai stata ventenne. Perché i miei vent'anni erano stati come un tunnel lungo e nero come la pece,come se mi fossi addormentata ventunenne e mi fossi risvegliata già trentenne. Anni che nessuno mi potrà restituire,e che io rimpiango ogni giorno della mia vita.
Nel frattempo avevo terminato un rapporto di più di 6 anni (di cui 2 di convivenza) con quel ragazzo di internet che si era stancato velocemente della mia malattia,sconfitto una displasia lieve al collo dell'utero,perso 2 posti di lavoro dopo vari soprusi psicologici (a parte una piccolissima parentesi tranquilla in un posto a chiamata) e perse svariate amicizie con gente che mi giudicava "malata di comodo e asociale di merda",preso oltre 30 kg di peso e conosciuto la persona meravigliosa che da 2 anni è mio marito.
Questi ultimi 4 anni non sono stati rose e fiori,ormai ho perso il conto delle tante scivolate e delle 2 ricadute pesanti nella malattia,l'esperienza della depressione e i pensieri che una persona "normale" non dovrebbe mai fare nella vita...eppure sono ancora qui.
Ho deciso di dedicare la mia vita al volontariato,mettendo tutto l'amore del quale sono capace in cause come i diritti degli animali e la sensibilizzazione riguardo i disturbi alimentari. Si,proprio quel demone che mi ha letteralmente mangiato 9 anni e passa di vita. Non è stata una decisione a cuor leggero,queste non lo sono mai,ma penso che la vittoria più bella sulla malattia sia non solo la totale guarigione fisica (per la quale combatto fino a non avere più forze),è il rendere quella malattia risorsa a disposizione di altri. Il mostrare che da quel tunnel si può uscire,e ancora più forti,ed informare il più possibile per evitare che altre persone cadano in quella trappola insidiosa.
La speranza esiste,è solo che non dobbiamo mai smettere di cercarla. Adesso,a 34 anni e mezzo,io ne sono consapevole.
PETRA

sabato 27 settembre 2014

ROSSELLA Giochi di luce

Tutto sta nei giochi di luce. Ho tenuto sempre per me, sigillate, nascoste persino alla ragione, le motivazione che lentamente mi portarono, all'età di 16 anni, a scegliere il silenzio, il buio, il nulla.
Annaspavo per farmi notare. Cambiavo sport, idee, hobby in continuazione fino a che non portai i miei a pensare che ero fatta così, nata per non concludere, per non scegliere anche solo una cosa che fosse mia. Prendevo tutto, bulimica della vita. Mi ero convinta che fossi realmente così, una linea sfumata, non definita. Decisi che avrei dovuto prendere una decisione e mantenerla. Un punto fisso. Il digiuno.
Fu l'anello debole che fece crollare ogni cosa. Tutti i castelli che mi ero costruita attorno iniziarono a frantumarsi ed io rimasi in balia dei vuoti e di una verità che faticava a venire a galla.
Due anni di terapia privata con lei che era più brava di me a rimanere sulla mia superficie. Credeva ad ogni singola parola che enfatizzavo per cercare di mascherare quello che c'era dentro. Ero diventata un'anima barocca. Ce l'avrei fatta da sola, decisi che ero guarita e convinsi tutti intorno a me, persino me stessa.
Ma non è mai come tutte le bugie che ti racconti. C'era quel qualcosa, quel punto debole che appena veniva inconsapevolmente toccato scatenava la bestia. I digiuni e poi ciò che più di tutto il resto pensavo potesse togliermi la ragione, la capacità di nascondere il caos dell'anima: le abbuffate.
Dovevo chiedere aiuto, anche contro coloro che inserivano mia madre nella confusione più totale dicendole che avrei potuto aspettare, che il mio era solo un capriccio, una fretta di agire. NO. Il disturbo alimentare non aspetta, si prende ogni minuto qualcosa di te. Il disturbo alimentare non ha BMI , ha un'anima in fiamme che cerca di deteriorarsi da sola mentre il corpo fino all'ultimo cerca di sopravvivere. C'è un'arte del corpo dalla quale imparare.
Ora ho la vita nelle mie mani, grazie a chi ha saputo scavare dentro me. Ho imparato che il mio punto debole lasciato nascosto nell'ombra era me stessa, volevo a tutti i costi che il mio mondo godesse dei riflettori di mia madre, che tutto di me venisse accettato, amato. E' umanamente impossibile. Bisogna ricominciare, partorirsi da soli. Rinascere, sporcarsi le mani del proprio mondo, metterlo alla luce e amarlo. Nessuno può darci tutto l'amore di cui abbiamo bisogno, se non noi stessi. Spetta a noi prenderci la responsabilità della nostra stessa vita, smetterla di vedere il cibo come un'arma e ricominciare ad assaporare tutto, anche ciò che a loro modo gli altri sono in grado di darci. Prendere la parte migliore, nutrirsene prendendone la giusta dose.

Riscoprire il gusto di nutrirsi, di farlo per se stessi, questo è il segreto. Nessun numero può contenere quello che siamo.

lunedì 22 settembre 2014

Appunti di una vita.. pensieri e riflessioni

Ancora Rosy....
appunti di una vita.. pensieri e riflessioni




La bilancia e la ricerca ossessiva di perfezione....



Può sembrare assurdo ma il movimento dell'ago della bilancia ha il potere di dirti se sei giusta o sbagliata, se sei stata all'altezza oppure no, se sei bella o brutta e chi ne ha più ne metta. Un illusorio termometro dei tuoi atteggiamenti ed anche del tuo modo di essere.Si sostituisce in qualche modo alle persone, la sua 'reazione' è quella di un tuo amico, del tuo compagno, di un tuo familiare, del temutissimo datore di lavoro o di un professore che si esprimono nei tuoi riguardi. Controllando il peso puoi controllare la reazione della bilancia che cercherai sempre di far essere come dici tu, che non esprima un 'giudizio' negativo nei tuoi confronti, quello che non puoi tollerare. Un potere che non puoi esercitare sugli altri, in quanto essere umani non mossi da un marchingegno che freddamente misura e che in quanto tali vivono di emozioni che possono trasferire su di te. E tu quelle emozioni, quei pensieri sei in grado di sostenerle? No sono inaccettabili, dirompenti e invadenti, meglio evitarle perchè proprio non le so gestire. Tutto ciò che non è schematizzabile non può rientrare nel mio mondo...numeri numeri, numeri....un mondo costruito da tante unità che ti fanno perdere di vista la tua unicità, quella non misurabile, quella fatta della tua naturale imperfezione.


 Vi ho presentato il primo pensiero di Rosy con l'impegno di pubblicare i prossimi a breve!!!
un abbraccio
Michi
P.S
grazie Rosy per rendere sempre vivo il nostro blog

martedì 29 luglio 2014

Rosy e il suo contributo....


Sono felice di inserire il primo pensiero di Rosy, amica di MNV, che ci aiuterà a mantenere vivo il nostro blog e le nostre discussioni!!
Fallo per me....'

Non dimentichiamo quanto possa essere duro vivere un DCA anche per le persone che sono accanto a chi lo vive in prima persona....anche familiari, amici sono coinvolti nel disturbo e non sapere come comportarsi è un pensiero che attanaglia la mente ogni singolo giorno....molte volte si può incappare nell'errore di dire 'fallo per me'....un' espressione che nasce come stimolo, come volontà di creare una reazione ma che in realtà diventa una 'falsa spinta' con la quale si pensa di poter aiutare chi ne soffre.Quel 'fallo per me ' che significa 'ricomincia a mangiare', che si trasforma per chi soffre come un modo per accontentare gli altri, per non destare preoccupazione. Far vedere a chi ti sta accanto che le cose 'vanno meglio', e per vanno meglio intendo appunto che si riprenda a mangiare in maniera normale.Ma paradossalmente questo diventa un modo per rinforzare il sintomo perchè le motivazioni continuano ad essere sbagliate e si continua a spostare l'attenzione da noi al cibo, agli altri cosìcchè il disagio non si affronta affatto In questo modo si tende sempre a spostare l'attenzione sul cibo, quello che a livello pratico si mostra ai nostri occhi e che è obbiettivamente definibile nel reale. Ci si esprime per ciò che vediamo, non per ciò che non è visibile e soprattutto difficilmente comprensibile. Tutto di nuovo si sposta sulla punta dell'iceberg senza andare a vedere il macigno di ghiaccio che si trova nell'abisso e dal quale parte tutto. Se con la malattia si perde il vero significato del cibo per ritrovarlo bisogna perderlo prima di vista, guardare 'ALTRO' per ritrovare e riscoprire piano piano ciò che è realmente. La strada verso la guarigione non è semplicemente ricominciare a mangiare.Prima di tutto è ricominciare o anche addirittura cominciare a SENTIRE per poi comunicare, esprimere quel SENTIRE non più attraverso il cibo. E da qui quest'ultimo, piano piano, può ritornare ad essere cibo. Mangiare perchè si ha fame, il bisogno fisilogico che si è svestito dei panni di demone, perchè si prova piacere nel farlo e soprattutto perchè si sente piacere nel provare piacere. Quindi per quanto possa essere difficile posso dire a chi sta vicino a chi soffre di DCA che tante volte tante parole non servono..o meglio non serve chiedere 'hai mangiato?', 'cosa hai mangiato?' quanto 'COME STAI?', 'SONO CON TE'...o anche un abbraccio, semplice ma più che efficace...

Grazie Rosy, un abbraccio

giovedì 5 giugno 2014

Ancora Simona....



Pro - ana: un silenzioso fenomeno che serpeggia nel web e avvelena le menti




Al 28 maggio 2014 sono 52.800.000 i risultati che compaiono su Google digitando il termine pro-ana. 188.000 i risultati su Youtube.




Nel 2009 la blogger Veggie (www.anoressiaafterk.blogspot.it) fece la stessa analisi. Questi i suoi numeri: 370.000 i siti alla voce pro-ana, 2.500 i video su Youtube.




Sono passati cinque anni: 4.910.000 le voci in più su Google, 185.500 su Youtube. Un totale di 509.5500 voci pro-ana in più.




Pro-ana: che cosa significa?




E’ l’abbreviazione di pro-anoressia ed è diventata una vera e propria filosofia di vita deviante. La “Filosofia pro-ana” si è sviluppata con l’affermazione dei siti web, in particolare dei forum privati, pro-anoressia.




« Questi siti sembrano nascere negli USA negli anni ‘98-’99, espandendosi poi al continente europeo toccando per primi stati come Inghilterra, Spagna e Francia. In Italia sembrano giungere solo negli anni 2002/2003. Il primo sviluppo dei siti Web Pro Anoressia si è registrato con la realizzazione di Blog (diari on-line). In questi diari molte ragazze (parlo al femminile in quanto, seppure in crescita, il fenomeno del DCA tocca il sesso maschile ancora in un tasso mediamente inferiore al 10% dei casi conosciuti) dichiarano patologici obiettivi di dimagrimento, tipicamente di carattere anoressico/bulimico, redigendo una sorta di diario sull’evoluzione del disturbo alimentare. In questo primo momento, dati i limiti di interazione, che uno strumento come il Blog permette, non si può parlare del movimento Pro Ana come di un fenomeno ben strutturato, seppure, questi diari on-line permettono già di scambiare consigli sui comportamenti restrittivi e, (cosa più importante) permettono un sostegno morale nel perseguimento degli obbiettivi. Il fenomeno Pro Ana si struttura, più saldamente, con la nascita dei Forum privati Pro Ana. Forum che si dichiarano seguaci della Filosofia di Ana; filosofia che si contrappone alla classificazione dei comportamenti anoressici e bulimici, propria del mondo medico ( si vedano ad esempio le categorizzazioni descrittive dei Disturbi del Comportamento Alimentare presenti nel DSM IV). Questi Forum sono accomunati ai Blog, soprattutto, dalla tipologia di persone che li frequentano. Avendo carattere privato, favoriscono la creazione di comunità virtuali, dove le ragazze discutono e si sostengono, nel perseguimento dell’obbiettivo della magrezza assoluta. Questi spazi ( sia la forma dei Blog, che quella dei Forum, si accomunano anche per l’utilizzo di spazi Web gratuiti, offerti dai grandi portali Internet) sono, infatti, composti da un luogo di discussione principale, nel quale vengono discussi gli argomenti più importanti (nei siti Pro Ana, è ritenuto importante solamente il rapporto Cibo-Bilancia, gli argomenti restanti divengono “futili” e poco accettati), e da luoghi di discussione secondari (dove si può parlare di argomenti per categorie, come diete o uso di metodi compensativi) sono inoltre caratterizzati da un rilevante numero di materiali incentivanti e rinforzanti il delirio sintomatologico (es: i 10 comandamenti di Ana, i motivi per non mangiare, come non farsi scoprire, i consigli per vomitare meglio, foto di modelle scheletriche, ecc.). Una caratteristica peculiare, e tecnica (con il termine “tecnica” si fa riferimento alle caratteristiche del Web), dei siti Web Pro Anoressia, è l’impossibilità di monitorarne la nascita e l’evoluzione, a causa della velocità con cui vengono chiusi e ricreati, rendendo inoltre inefficace un’azione repressiva», così definisce il fenomeno il dottor Agostino Giovannini nella prima ricerca scientifica italiana sul fenomeno Pro Ana, condotta con la collaborazione del Prof. Umberto Nizzoli e del PASM dell'Az.Usl di Reggio Emilia, dell'anno 2005.




La divulgazione di un articolo su panorama.it dello scorso 23 maggio, ma ancor prima il servizio di Nadia Toffa sui Blog pro anoressia della puntata del 7 maggio delle Iene, hanno portato alla luce questo fenomeno.




« Anche se per alcuni il problema non è rilevante nell'incidenza della malattia, noi crediamo che almeno i giovanissimi vadano tutelati da chi istiga» , scrive Mi Nutro di Vita sulla sua pagina facebook.




Dovendo tutelare da istigazioni, il fenomeno va portato alla luce con le dovute precauzioni.




Divulgando articoli che parlano di blog pro-ana in cui vengono descritti comportamenti incitanti l'anoressia, nonché l'intero decalogo delle regole della malattia, altro non si fa che aumentare il rischio di caduta per giovani ragazze che potrebbero scoprire tali blog proprio da articoli che volevano condannarli. Il fenomeno pro-ana deve essere conosciuto e fermato. Ma non è "divulgando la violenza che si ferma la violenza". I blog pro-ana e le thinspo (abbreviativo di thin inspiration, fonti d’ispirazione di magrezza, ovvero immagini di ragazze « tra lo scioccante e il patinato» , come le definì Veggie sul suo post del 2009) sono una grande attrattiva.




Veggie nei suoi post sostiene che è « bene tracciare una netta linea di confine tra anoressia e pro-ana. Non una linea di confine tesa a dividere – nella sofferenza sottesa non ci sono differenze – quanto una linea di confine mirante a sottolineare la completa e totale differenza tra l’anoressia vera e propria e il fenomeno pro-ana ».


È vero: l'anoressia e il fenomeno pro-ana sono due sofferenze diverse, tuttavia il pubblico che può vedere immagini thinspo e leggere pezzi di blog pro-ana,che vengono introdotti negli articoli informativi e divulgati, è ben ristretto.


Le sofferenze odierne sono innumerevoli, spesso indefinibili e incontrollabili: il fenomeno pro-ana è grave e largamente diffuso, ma la sua trattazione deve essere attenta a tutelare chi è più labile psicologicamente, perché esercita una forte attrattiva (come dipendenza, metodo di sfogo e di attenzione), soprattuto per i più giovani…CONTINUA


Simona Valcarenghi

ancora tante storie....

Il contributo della nostra amica Simona





Maggio 2014






Abbiamo TUTTI fame, l’esperienza di una ragazza che ora ama la Vita






Scorro la Home di facebook. La nuova dieta miracolosa non manca mai, nonostante gli articoli di “morte per dieta” sopra e sotto al link della pubblicità. Come dimagrire magicamente, semplicemente e velocemente. Bisogna solo cliccare su quel link e spendere ancora del nostro tempo al computer. Ma non su facebook a cazzeggiare. No, adesso impariamo a diventare magri, quindi belli. Perché internet sa come si diventa belli. E, soprattutto, sa bene che bello significa magro, nonché perfetto.






Cinque anni di esperienza di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), mi hanno portato a maturare la convinzione che “Abbiamo TUTTI fame”, non solo le ragazze con l’anoressia o la bulimia- DCA più conosciuti e diffusi. La società intera ha fame, d’Amore. E’ una frase scontata con cui ciascuno concorderà.



Ma siamo davvero convinti e sicuri che anche noi, sani di fisico e psiche- perché non andiamo dallo psicologo-, abbiamo fame?






Apro questa rubrica che gli amici di “Mi Nutro di Vita” ospiteranno nel loro blog per tentare di aprire gli occhi a chi vuole vedere la luce e anche per far vedere le “perle ai porci” (sono convinta che anche loro abbiamo diritto a vedere la Bellezza della vita). Apro questa rubrica per comunicare l’unica cosa che ho imparato nella mia brevissima vita: essa è Gioia e Amore.






Già dissi, in un’intervista (che condividerò analizzando i punti ancora critici), che l’unico modo per guarire da un DCA è l’Amore. Che serve qualcuno che vada al di là della malattia e veda il mondo colorato racchiuso in te. Ho capito, però, che chi ci sta di fronte è un semplice specchio. Quindi, al di là della malattia e del negativo, dobbiamo andare noi stessi. Altrimenti non potremmo riflettere la meraviglia che ci sta attorno.






Le mie piccole e preziose scoperte a vostra disposizione. Per qualsiasi domanda o consiglio su che argomenti trattare, lascio la mia mail (simona.valcarenghi@gmail.com ) in modo che si possa comunicare anche più intimamente.






Voglio bene a te che hai letto, perché esisti e sei una meraviglia. Proprio come me!






Simona

martedì 25 marzo 2014

Si può parlare di colpe? La storia di Dolores e l'aiuto di Veggie


Buongiorno a tutti, sono Dolores, mamma di Laura, oggi  diciassettenne, malata di anoressia da quando ne aveva 13

Magari io e mio marito non abbiamo colpe per la malattia di nostra figlia, ma siamo certamente parte in causa.

Quando Laura aveva circa 8 anni, io mi sottoposi ad una dieta dimagrante; lo feci sotto stretta sorveglianza medica e fu anche un periodo allegro, ma contrassegnato comunque da una marcata attenzione per il cibo, che col tempo frena e inibisce la spontaneità che si dovrebbe avere con esso. Già: l’attenzione per il cibo, la scelta di cibi sani, verdura piuttosto che carne, no alle merendine, no a questo si a quello………

Nella nostra famiglia  ci sono stati diversi casi di cancro, e si mangiava cotoletta alla milanese, salame e patate fritte a volontà, così sulla nostra tavola sono comparsi il tofu, il seitan, la cotoletta di soya ecc….e slogan del tipo: mangiamo poco e vivremo a lungo!

Così facendo abbiamo caricato il cibo di una valenza positiva o negativa. Troppa educazione alimentare fa male.

Se a tutto questo poi uniamo una certa predisposizione per la malattia mentale……io ho sofferto di depressione, l’ ultima della quale postpartum, 17 anni fa, per la quale a tutt’oggi assumo degli psicofarmaci.

Vedete quindi che, se non di colpa vera e propria si può parlare, noi genitori di Laura abbiamo comunque le nostre responsabilità.

Risposta di Veggie


Cara Dolores,


grazie innanzitutto per la tua e-mail, e per aver voluto condividere con me la tua esperienza.


Io ritengo che ogni persona sia un caso a sé, e che dunque sia pertanto impossibile fare generalizzazioni. Data l’estrema variabilità sotto ogni punto di vista di ogni persona, la tematica assume carattere puramente soggettivo.


Io parto dall’ovvio presupposto che i disturbi alimentari siano patologie multifattoriali, ovvero ingenerate da miriadi di concause diverse tra loro, e differenti da persona a persona. Dunque, proprio perché i DCA sono patologie multifattoriali per antonomasia, è impossibile individuare una causa specifica su cui puntare il dito: le cause sono tantissime, e tra i vari fattori che agiscono ce ne sono senz’altro alcuni preponderati rispetto ad altri… che non devono però necessariamente ricercarsi nell’ambito familiare.


Per quanto anche la famiglia, in certe persone, possa rappresentare una delle millemila concause che portano allo sviluppo di un DCA, non ne è la causa principale né determinante, come molte cose che si trovano scritte, su Internet ed altrove, vorrebbero far credere. Anche perché il dire che lo sviluppo di un DCA filiale sia conseguenza dell’atteggiamento genitoriale, presupporrebbe che la figlia fosse una specie di spugna che assorbe quanto le viene detto e lo interiorizza in maniera acritica, e negherebbe la capacità della figlia stessa di possedere un cervello e dunque di ragionare su ciò che le viene detto, e di autodeterminarsi.


Non solo un DCA è così complesso che non si può fare un’attribuzione univoca di colpa/responsabilità, secondo me è proprio scorretto l’utilizzare parole come “colpa” e “responsabilità”, perché le trovo controproducenti e meramente fini a se stesse: chi si colpevolizza si fa domande all’infinito sul perché sia successa una determinata cosa, e su come avrebbe potuto comportarsi per evitarlo… ergo, gira e rigira sul passato, che è inalterabile per definizione in quanto passato. E perde così tempo prezioso che avrebbe potuto impiegare per capire cosa potrebbe fare da quel momento in poi per cercare di migliorare la situazione.


Per quello che può servire, nella mia famiglia siamo tutti fisiologicamente magri, nessuno ha mai seguito una dieta, e non c’è mai stata particolare attenzione all’alimentazione né particolare educazione alimentare. E, per inciso, nella mia famiglia non ci sono mai stati casi di malattia mentale. Ciò non ha impedito che io mi ammalassi ugualmente di anoressia. Vedi bene perciò che non c’è una correlazione di causalità diretta tra comportamento genitoriale nei confronti dell’alimentazione, e risposta filiale in termini di maturazione di un disturbo alimentare. Le ragione che mi hanno portata ad ammalarmi da anoressia sono state molteplici, e sono riuscita a concretizzarle – almeno in parte – dopo anni di psicoterapia, e non avevano niente a che vedere con la mia famiglia: avrebbero potuto comportarsi in qualsiasi modo nei confronti del cibo, ed io mi sarei ammalata lo stesso, perché la mia anoressia affondava le sue radici in tutt’altri tipi di problematiche.

Naturalmente non conosco tua figlia e non conosco la sua storia, quindi lungi da me il voler fare illazioni. Però mi sento di dire con ragionevole sicurezze che, ammesso e non concesso che voi genitori abbiate rappresentato una delle tantissime concause che hanno portato vostra figlia a sviluppare un DCA, certamente non siete affatto così centrali come temete di essere.


Non ci trovo niente di sbagliato nella vostra educazione alimentare: anzi, penso che sia segno di grande intelligenza e responsabilità il rendersi conto che la ricorrenza di certe patologie tumorali in famiglia potesse essere legata anche ad un’alimentazione scorretta, e il cercare di fare il possibile per nutrirsi correttamente ed in maniera quanto più sana possibile. Il che, certo, non scongiura in toto il rischio di ammalarsi di tumore (poiché per alcuni tipi di tumore esiste un fattore causale genetico riconosciuto), ma sicuramente giova all’organismo, e senz’altro abbassa il rischio. Lo slogan “mangiamo poco e vivremo a lungo” è senz’altro sbagliato, ma lo slogan “mangiamo SANO e vivremo a lungo” è verissimo, quindi rispetto in pieno la tua scelta di affiancare verdure ed alimenti di origine vegetale ad un’alimentazione carnea, che pure è necessaria, se seguita nella maniera adeguata, e senza eccedere.


So che tra l’avere la consapevolezza razionale delle cose e il sentire emotivo c’è spesso un grosso gap che è veramente difficile da colmare, ma credimi se ti dico che l’angosciarsi sui comportamenti pregressi è fine a se stesso e non giova in alcun modo né a te ne a tua figlia. Pensate soltanto a come cercare di combattere insieme da ora in poi: è l’unica cosa veramente utile che possiate fare.


A parte tutto… spero che tua figlia stia seguendo un percorso psicoterapeutico e di riabilitazione nutrizionale, e che possa stare sempre meglio.


Vi faccio un enorme “in bocca al lupo.

Spero che questo scambio di mail vi possa aver dato la possibilità di riflettere ulteriormente....
aspetto vostre opinioni
un abbraccio
Michi

mercoledì 12 marzo 2014

Si parla di colpe?!

Grazie Rosy per voler condividere con noi pensieri sempre così importanti e sentiti... un abbraccio




Nei disturbi alimentari non esistono colpe...tante, troppe volte tutto si fa risalire esclusivamente a madri opprimenti o troppo apprensive, a padri incapaci di prendere decisioni o posizioni, estremamente passivi, a genitori assenti, anaffettivi o proiettati in maniera preponderante sulle aspettative rivolte verso figlie/figli che tendono a volerle rispettare a tutti i costi oppure ad assorbire le loro angosce e le loro ansie forse per potergliele strappare e alleggerirli...e chi ne ha più ne metta..molte volte un invischiamemto di ruoli o di emozioni che si traducono in un 'sistema' confuso contribuisce all'esplosione del sintomo...CONTRIBUISCE appunto, proprio come tutti gli aspetti su menzionati...i fattori in gioco sono molteplici ; dinamiche relazionali si, che si esprimono in primis nel nucleo familiare, ma anche individuali. Tutto questo però non deve far cascare nel tranello delle COLPE...assolutissimamente controproducente. Assumersi le proprie responsabilità, riappropriarsi del proprio ruolo così come del proprio 'carico', un modo per venire a contatto ognuno con il proprio sé e trovare un moto di reazione.. 
E voi cosa ne Pensate ?
A presto
Michi

lunedì 17 febbraio 2014

5 RISPOSTE AI QUESITI PIU' FREQUENTI DELLE FAMIGLIE DA UN'ESPERIENZA VISSUTA

La nostra amica Veggie ha deciso di aiutarci a rispondere ad alcune delle domande più frequenti poste da famigliari e persone vicine a chi soffre... grazie e buona lettura!!!


Precisazioni da parte di Veggie:
A)Quanto scriverò è basato unicamente sulla mia opinione personale. Nessuna valenza scientifica, nessuna valenza professionale, unicamente la mia opinione – opinabile per antonomasia. Ergo, non prendere assolutamente per oro colato quanto scriverò, perché rispecchia solamente quelle che sono le mie personali idee in merito.

B)Ritengo che non esistano “ricette perfette”, e che il percorso di ricovero debba essere assolutamente individualizzato e personalizzato. Paradossalmente, se esistessero sapremmo perfettamente quale iter far seguire ad ogni qualsiasi persona malata di DCA, e saremmo sicuri che al termine di quell’iter la persona starebbe concretamente meglio sotto ogni punto di vista. Non è così, ovviamente, le panacee universali in questo campo penso non ci siano. Quindi, nel rispondere alle tue domande, farò riferimento alla mia esperienza personale, e tutt’al più a ciò che ho visto nelle persone intorno a me, ergo ciò che scriverò è autoreferenziale e perciò non è in alcun modo generalizzabile.


 
Domande e risposte:
 
1)Perchè il ricovero in struttura dedicata?


Penso che i vantaggi delle strutture dedicate (ammesso e non concesso che funzionino in maniera adeguata, ovviamente) siano molteplici. Innanzitutto, la persona ricoverata ha la possibilità di essere seguita quotidianamente e h24 dai diversi membri dell’equipe medica che lavora nella clinica: dietisti, psicologi, psichiatri, medici di medicina generale, il che consente un monitoraggio costante tanto delle condizioni somatiche quanto degli aspetti psicologici, poiché sono dell’idea che la psicoterapia e la riabilitazione nutrizionale, per avere spettanze di successo, debbano procedere di pari passo. Inoltre, una clinica mette a contatto persone che hanno le stesse problematiche e che, se motivate nel percorso che stanno facendo, possono supportarsi a vicenda in maniera tale da avvertire meno il senso di isolamento che spesso caratterizza chi ha un DCA nella sua vita quotidiana: può quindi nascere all’interno del gruppo una sorta di auto-aiuto che si affianca all’aiuto professionale. Un ricovero in clinica può essere inoltre anche un modo per staccare la persona malata da un contesto di quotidianità che in qualche modo favorisce la persistenza della malattia e il reiterare comportamenti sintomatici, ed introdurla in un nuovo ambiente dove durante la degenza vengono forniti strumenti che possano consentire alla persona stessa di adottare strategie di coping diverse da quelle proprie del DCA una volta che, terminato il ricovero, saranno reintrodotte nella propria quotidianità. Infine, la struttura dedicata consente un alto livello di specializzazione: tutti i professionisti che vi lavorano infatti sono altamente settorializzati e mirati al lavoro con persone affette da disturbi alimentari, per cui c’è sicuramente una qualità e un’accuratezza della cura migliore che altrove.


 
2) Quando il ricovero?


 - Non solo “quando”, c’è da chiedersi anche “se”. Il “se” e il “quanto” penso debbano essere valutati da uno specialista che conosce, perché l’ha seguita, la persona per la quale il ricovero viene eventualmente prospettato. Penso che se c’è consapevolezza di malattia e, a maggior ragione, voglia di combattere contro la malattia, il ricovero possa essere fortemente produttivo. Però ritengo che sia in grado di dare input positivi anche in chi è più indietro nel suo “percorso di ricovero”, fermo restando ovviamente che minore è la consapevolezza e soprattutto minore è la voglia di combattere, minore sarà la voglia e la capacità di utilizzare gli strumenti di lavoro su se stesse che vengono messi a disposizione da una struttura. Per il resto, credo che la valutazione debba essere assolutamente individualizzata e molto scrupolosa, perché essendo tutte persone diverse, reagiamo in maniera differente anche a fronte del medesimo stimolo: per cui sta allo specialista la capacità di comprendere se la persona che ha di fronte potrebbe reagire positivamente al ricovero in una struttura specializzata e fruirne, oppure se il rimedio sarebbe peggiore del male innescando nella paziente un rifiuto e quindi un arroccamento ancora maggiore sulle posizioni del DCA. Qui sta all’abilità dello specialista valutare, ovviamente anche e soprattutto ascoltando quelle che sono le volontà a tal riguardo della paziente stessa, e agendo di conseguenza… Ricordando che, anche una stessa paziente, può essere non pronta ad un ricovero in una clinica specializzata in un certo momento della sua vita, mentre può tranquillamente esserlo successivamente.


 
3)  Come può essere evitato se una consapevolezza dell'aiuto manca nella prima parte della malattia?


 - A mio avviso, l’unico modo per evitare il ricovero in una clinica specializzata nella prima parte della malattia, è quello di fare in modo che la persona malata sia comunque seguita ambulatorialmente, sia sul piano alimentare che psicologico, con costanza. Penso che i ricoveri coatti (e parlo per esperienza personale) siano molto fini a se stessi… Meglio allora, se la paziente non ha consapevolezza di malattia, iniziare un più soft approccio ambulatoriale, che faccia sentire la persona meno sotto pressione, e che magari può essere convertito in un ricovero franco solo successivamente, quando c’è più collaboratività.


 
4) Dopo quanto tempo può essere giudicato insufficente l'approccio non residenziale?


 - Anche questo ritengo sia variabile da persona a persona. Ci sono persone che ce la fanno tranquillamente (o, addirittura, meglio) con un approccio non residenziale, altresì ci sono persone per le quali il ricovero rappresenta la miglior strada da percorrere. Molto conta cosa ne pensa la paziente, cosa sente di aver bisogno, quale vede essere la strada più adatta per sé. Generalizzando (per quanto io detesti le generalizzazioni…) direi che un buon criterio per decidere di proporre alla paziente di passare da un regime ambulatoriale a un regime di ricovero sia rappresentato dalla mancata regressione o dall’aggravamento dei sintomi presentati dalla paziente al momento dell’inizio della terapia ambulatoriale. Con tempi variabili sulla base delle condizioni psicofisiche della paziente stessa. E fermo restando, ovviamente, la libertà di scelta della persona malata.


 
5) Fermo restando l''unicità di ogni storia,si può parlare di percorso della malattia sia in entrata che in uscita?


- Il “percorso in entrata” della malattia, per quella che è stata l’esperienza mia e delle persone con cui ho conosciuto e parlato sia durante i miei ricovero, sia tramite blog, è veramente diversissimo da persona a persona, quindi oggettivamente non direi che si possa parlare di “percorso in entrata”. Più analogie, invece, le posso vedere nel “percorso in uscita”: fermo restando anche qui le differenze interindividuali, sicuramente ampissime, una cosa che ho notato e che ci accomuna abbastanza tutte è che l’uscita da un DCA necessita il trovare cose che riempiano la vita e che siano altro dal DCA stesso. In parole povere: occorre cercare di dare più importanza ad altre cose, quali che siano, e cercare poco a poco di costruirsi una vita autonoma al di là dell'anoressia, poiché nel momento in cui si arriva ad avere una vita che compendia numerosi interessi “sani” e positivi, ci si rende conto che l’anoressia non ci serve più poi così tanto. Non penso che questa sia l’uscita tout-court dall’anoressia. Anzi, credo che pur trovando interessi che non hanno niente a che vedere col DCA, si abbiano comunque ricadute più o meno pesanti (per lo meno, questa è stata la mia esperienza). Trovare cose da fare che derogano completamente dall’anoressia non è la bacchetta magica della guarigione né la panacea, ma penso che possano aiutare ad allontanare la testa da certi pensieri ossessivi, nonché a scoprire un angolo di mondo che ci offre opportunità positive che ci possano far sentire che allora vale veramente la pena il cercare di distaccarsi quanto più possibile dal DCA per poterci dedicare ad altro. Trovare un qualcosa che ci faccia sentire che, ributtandoci del tutto nell’anoressia, avremmo qualcosa da perdere. Trovare qualcosa che ci stia veramente a cuore. Perché questo può fare una significativa differenza.


 
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grazie
a presto
Michi