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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

venerdì 30 dicembre 2016

La mancanza


Cercando di riempire il vuoto di queste "feste", mi sono ritrovata a riflettere su quanto la malattia abbia reso POVERO e MANCANTE il mio universo: in quest'universo mancano relazioni, attenzioni, svaghi, sicurezza…manca, soprattutto, Amore. Ed è proprio questa mancanza a rendere il vuoto 'appetibile', a rendere l'universo della malattia desiderabile: senza relazioni niente tradimenti, senza attenzioni niente preoccupazioni, senza svaghi niente distrazioni, senza Amore niente dolore. Stare nella malattia è allora rinunciare ad avere, temere di avere (un corpo, in primis) e godere, invece, di tutto ciò che è "senza". E' godere del 'niente'; godere, appunto. Ma quest'universo misero non può bastare: come può soltanto questo bastare ad un essere umano (di per sé 'mancante', perché ha dei bisogni che chiedono di essere soddisfatti)?
Credo che 'uscire dalla gabbia' della malattia, implichi non tanto rifiutare la mancanza in quanto insufficienza - perché sentire la mancanza è avvertire anche un bisogno ("mi manca l'aria" = ho bisogno di aria, per respirare, per vivere) o un desiderio ("mi manca la mia gattina" = desidero la compagnia della mia gattina) - ma guardare alla mancanza come ad una ricchezza, UNA RISORSA.
Forse ciascuna di noi dovrebbe smettere di pensare a quello che non è o che potrebbe essere, cioè quello che le manca, per mimetizzarsi, per con-formarsi (cioè perdere forma, essere senza forma propria) e con-fondersi nella massa (cioè perdere individualità, senza distinzione, senza ordine). E dovrebbe sforzarsi, invece, di cercare quello che è, chi è, trovare il coraggio (perché si, credo sia una scelta che comporta rischi e che quindi richiede coraggio) di portarlo allo luce, di ascoltarlo, di interrogarlo, e di viverlo a fondo. Sia esso dolore o gioia, sofferenza o piacere, sarà utile in ogni caso, perché aiuterà a crescere. Portare alla luce quel dolore, o quella gioia, potrebbe forse valere addirittura la vita. Lasciar parlare la "mancanza che è" per capire di cosa ha più bisogno/desiderio quell'universo mancante: FARE, cioè, DI QUELLA MANCANZA LA PROPRIA RICCHEZZA.
Forse il tanto desiderato 'equilibrio' sta proprio nell'imparare un po' alla volta a stare anche nei propri squilibri senza lasciarsi travolgere o sconvolgere da essi? Sta forse nel saper conciliare gli estremi opposti (senza/troppo, tutto/nulla) in una "giusta" misura - la propria misura - che sappia soddisfare quella mancanza che è bisogno ("senza..." non si può vivere) o desiderio ("senza..." c'è insoddisfazione), e lasciare andare invece quella mancanza che crea dipendenza ("senza..." c'è crisi d'astinenza). Credo che ognuna di noi potrà trovare 'la propria misura', quell'equilibrio che le permetterà di sentirsi libera di essere la persona che ha sempre desiderato essere, soltanto se saprà lasciare andare la paura, se saprà lasciarsi andare alla paura, che la trattiene tra le grinfie dei mostri che regnano in quest'universo 'mancante', l'universo della malattia. Soltanto allora, sarà il giorno in cui il mondo potrà finalmente urlare "Bentornata!", soltanto allora si potrà finalmente tornare a respirare a pieni polmoni la vita. E per questo lottare ha un senso, perché io quel giorno non voglio farmi trovare impreparata: voglio poter accogliere Sandra a braccia aperte e darle le attenzioni, la sicurezza e tutto l'Amore di cui sente la mancanza.

Sandra

domenica 25 dicembre 2016

Natale...Ti chiedo scusa


Il Natale ha il potere di avvicinarti ancora di più alle tue emozioni. Anche se può essere una festa che non vuoi festeggiare, non puoi comunque non sentirne la presenza. Sembra quasi che il Natale voglia costringerti a guardarti dentro. Oggi, 25 dicembre, ho un voglia pazzesca di starmene da sola in casa. Fare un pranzo frugale e poi buttarmi a dormire...così, metterei sicuramente a tacere le emozioni che sento che stanno per scatenarsi dentro di me. Questo è il primo Natale che vivo senza la presenza di mio padre. Provo un profondo rammarico per non essere mai riuscita a godermi questa festa insieme a lui. C'era sempre un qualcosa che mi faceva stare sulla difensiva. Non potevo dimostrargli di volergli bene perché la cosa mi imbarazzava. Era più facile per me rivolgermi a lui in modo scortese piuttosto che in maniera amorevole e gentile. Ora... Vorrei poter tornare indietro per dirgli apertamente che dietro alla mia aggressività si celava la mia incapacità di dimostrargli il mio amore. Per anni ho cercato invano di attirare la sua attenzione...ho anche smesso di mangiare per vedere se lui si accorgesse finalmente di me, finendo poi con l'imparare a gestire ogni mio disagio attraverso il rifiuto e/o controllo del cibo. Questo mi faceva sentire forte. ..Invincibile... ma soprattutto, mi faceva sentire inattaccabile. Oggi, che sono guarita dal mio disturbo del comportamento alimentare, provo affetto per quella parte di me che per anni è stata malata. Quanti Natale ho trascorso a lottare contro la voragine di angoscia che mi divorava dentro. Quanta rabbia e odio ho provato e rigettato su mio padre. Ho sempre dato la colpa a lui di tutto il mio dolore. Lui, in quanto padre, avrebbe dovuto proteggermi, guidarmi, abbracciarmi, farmi sentire che c'era. Invece...invece, nemmeno si degnava di reagire davanti alla mia aggressività. Menefreghista!!!!!!....E io, davanti a questo muro di indifferenza, mi percepivo e sentivo di non esistere....ero completamente invisibile. Nessuno mi rimandava l'esperienza che io c'ero, che esistevo, che ero importante. Ora che sto scrivendo, mi viene naturale allargare la mia macchina da cinepresa percettiva e vedo farsi protagonista altri elementi che allora non erano alla portata della mia visione, in quanto ero troppo concentrata su me stessa. Ecco allora porsi davanti a me l'immagine di mio padre. Ci sono io che gli sto urlando la mia rabbia e lui, lui che fa? Lo vedo chiudersi in un mutismo innaturale. I suoi occhi, ( che io urlante vado disperatamente cercando) sono abbassati. Non per sfuggire da me, ma per nascondere il dolore che vi si sta celando dietro. Ciò che mi colpisce ora come un pugno allo stomaco è vedere non più solo la mia di sofferenza, ma anche quella impotente di mio padre.

Ora che i miei occhi non vedono più attraverso le lenti deformanti della malattia, ho visto e riconosciuto il dolore di mio padre. Non è mai stato indifferenza, menefreghismo, assenza. Tutt'altro. Entrambi eravamo incapaci di comunicare. Anzi, a dire il vero, io ho (inconsciamente) provocato mio padre. Il mio intento era costruire sempre più muri fra noi due per vedere se lui si fosse impegnato a lottare per abbatterli. Perché questo avrebbe significato che mi voleva bene. E più vedevo che non reagiva, più saliva il dolore e la rabbia in me..in un gioco ossessivo, perverso e autodistruttivo che mi ha portato a non essere più capace di comunicare con mio padre attraverso il linguaggio dell'amore. Io ero la figlia, che doveva essere protetta, e lui il genitore, l'adulto, che doveva proteggermi. Pensiamo spesso che i genitori debbano essere perfetti; debbano capire all'istante quello che nascondiamo dentro; debbano circondarci di amore ( ma non troppo, perché se no ci sentiamo soffocare); debbano saperci guidare, sostenere, confortare, assicurarci una vita serena, sorreggerci quando cadiamo e spronarci quando tentenniamo......Ma, mi chiedo, ho mai permesso a mio padre di fare tutto questo? Sinceramente... no....Sin da piccola ( avrò avuto 6/7 anni), io lo preferivo a mio zio. Mio zio era per me il modello del padre perfetto. La sua famiglia, mia zia e le mie due cugine, erano il modello della famiglia perfetta. Quando lo andavo a trovare, mi nutrivo di questo clima di amore che si respirava a casa sua. Mio zio giocava spesso con le mie cugine, coinvolgendo anche me. Alla sera, spesso si metteva al pianoforte a suonare e noi cantavamo insieme a lui.Gli abbracci non si elemosinavano, ma arrivavano inaspettatamente. Quanta felicità c'era in questi gesti. Poi tornavo a casa mia, e subito mi penetrava il gelo. Percepivo all'istante la differenza, e ricordo quanto piangessi per non avere anche io un padre come quello delle mie cugine. È qui, in questo momento che è nata in me la rabbia verso mio padre. È da lì che ho cominciato a indirizzare verso di lui una guerra fatta di ostilità, pretese, urla, rimproveri, odio.....E prepotentemente si è costruita in me la convinzione che se non potevo avere il padre e la famiglia perfetta, sarei diventata allora "Io" perfetta. Ed è stato quasi automatico fare mio il pensiero che se avessi controllato il cibo, sarei stata capace di controllare ogni cosa. E allo stesso modo, se avessi dimostrato di essere perfetta in tutto ciò che facevo...se avessi costruito un'immagine di me perfetta....ecco che allora potevo essere vista e amata. Convinta che questo controllo mi avrebbe difesa da ogni cosa, mi sono creata la mia realtà, come dicevo io, sicura che niente avrebbe più potuto ferirmi. Come mi sono illusa!!!!!!!! Ci sono voluti anni di profondo lavoro su me stessa per capire di quanta incomprensione e sofferenza avevo avvolto tutta quanta la mia vita.

Oggi, 25 dicembre, mio padre non c'è più. Non c'è più per potergli manifestare il mio amore. Non c'è più per chiedergli scusa. Non c'è più per poterlo abbracciare. Non c'è più........ Non so se ci sia un altra dimensione o quant'altro in cui lui può sentirmi, vedermi, essermi vicino. Questo non lo so....ma io oggi, 25 dicembre, papà, ti chiedo scusa per la sofferenza che ti ho causato.... Ti chiedo scusa per non essere stata capace di dirti quanto ti voglio bene.... Ti chiedo scusa per non averti mai permesso di essere il padre che magari avresti voluto essere per me......In tutto questo, mio caro papà, sono consapevole che tutto ciò che c'è stato tra noi due non è stato invano perché mi ha reso la donna che sono oggi. E lo devo anche a te. Al tuo non avermi mai abbandonato nonostante il mio continuo allontanarti col mio tenerti sempre a distanza. Grazie papà. Un immenso grazie.  Ti voglio bene!!!!!!  E ti abbraccio!!!!!!!!

Francesca 

giovedì 22 dicembre 2016

Paura è/e cambiamento

 
“HO PAURA DEL CAMBIAMENTO.” 


Quante volte con queste parole ho giustificato il mio malessere...è sempre sembrata una spiegazione plausibile alle mie resistenze nel percorso verso la guarigione, verso il cambiamento, appunto. Ma la paura del cambiamento non è una scusa, non è una semplice giustificazione dietro cui nascondersi, anzi. La paura paralizza, è vero, può essere di grande ostacolo al cambiamento stesso, perché porta a perdersi nel vuoto. La paura si nutre dei "se...", di infiniti “se…”, mentre i fatti si scrivono con i "ma...". E allora, per accettare il cambiamento bisogna prima di tutto accettare la paura, ascoltarla, sentirla. Per liberarsi dal peso della paura, bisogna trovare il coraggio di affrontarla, perché più ci si ostina ad ignorarla, più insistentemente lei continua a controbattere, procede a grandi passi. Il cambiamento, invece, è lento, timido, ma accade di continuo.

Il cambiamento succede, accade, ogni giorno, perché è la natura della vita stessa...il cambiamento stesso E’ VITA! E' vita perché è una continua scoperta, ed è proprio nel piacere legato alla scoperta che sta il suo più grande e prezioso potenziale. Continuamente esposti ad esso, ci illudiamo di avere il potere di opporgli resistenza, di mettergli un freno o, viceversa, di premere l’acceleratore, quando non è il momento opportuno: troppo presto, o troppo tardi… E invece, affinché sia possibile, il cambiamento deve essere spontaneo, libero dalla paura. Allora, dovremmo forse imparare ad accoglierlo, a farlo 'nostro', quando arriva, e ad attenderlo, con tanta pazienza, quando invece indugia a manifestarsi. 

Il cambiamento succede, accade, ogni giorno, perché è nella natura umana di cambiare, per far fronte alle circostanze esterne, mutevoli, spesso imprevedibili. E (relativamente) poco importa se le si affronta con gli occhi gonfi di lacrime, con un peso sul cuore o con il sorriso stampato in volto. IMPORTA AFFRONTARLE. Perché in ogni caso, da questo scontro si uscirà comunque vittoriosi, comunque un po' più forti: forti dell’aver trovato il coraggio di tenere testa alla paura per andare incontro al cambiamento. Quanti, invece, nemmeno provano a schierarsi: si lasciano vincere dalla paura, ne seguono passivamente le direttive; hanno perso in partenza. Quante volte non si riesce ad ammettere di avere paura, per non sentirsi, o mostrarsi, fragili… Ma la fragilità non sta forse, invece, nel non saper ammettere, accettare le proprie paure, nel non saperle accogliere?



Nel caso specifico dei disturbi alimentari, non credo che la paura del cambiamento sia strettamente legata solo all'idea di un corpo che cambia, ad una forma che inevitabilmente muta nel tempo: la paura del cambiamento è soprattutto paura di non riconoscersi più, di perdere la propria identità nel momento in cui la forma cambia e di non riuscire più a ritrovarla, cioè ad identificarsi, nella nuova forma. E' il timore di non riuscire a vestire bene i panni diversi che le mutevoli circostanze quotidiane ci chiedono di indossare di volta in volta, di situazione in situazione. Identificarsi è riuscire a far coincidere l’identità con la forma in divenire, con la forma del cambiamento, è mettere e mantenere in comunicazione la nostra identità con tutto ciò che le sta intorno, un involucro - fatto di persone, contatti, ambienti, sensazioni - che cambia di continuo, e che perciò può spaventare. Da quando ho iniziato a coltivare la mia speranza in un cambiamento possibile, io non ho più paura di ammettere la mia paura, perché ho capito che sentire, vivere, la paura è in realtà già la prova di un cambiamento in atto, di una reazione in atto, una reazione salvifica: una reazione alla paura stessa, che spinge ad agire in difesa e in nome del proprio desiderio. E solo quando inizi ad ascoltarla e ad interrogarla quella paura, ti rendi conto che il motore della reazione sei proprio tu, tu stessa. Quando ci sei dentro, totalmente immersa nel vortice della paura, non sei in grado di valutare nulla lucidamente: vivi momenti interminabili in cui, anzi, non puoi nemmeno concederti di dire "ho paura"; tutto è buio, la paura prende il sopravvento su qualunque tuo pensiero e azione. Come se indossassi un paio di paraocchi, vedi soltanto ciò che è già stato disegnato, il percorso che è già stato tracciato. Quel percorso si, è già stato scritto, e lo si potrà rileggere, tante volte, ogni volta con occhi diversi, con una consapevolezza diversa, man mano che passerà il tempo. Ma tutto ciò che deve venire, ancora no, non è già scritto: lo puoi immaginare, fantasticare, ma per crearlo, per renderlo presente, vivo, reale, c’è bisogno della tua mano, del tuo contributo e del tuo impegno. C’è un foglio bianco da riempire, con i colori che più ti aggradano, puoi scegliere - sei LIBERA di scegliere - quelli che più piacciono a te, perché è tuo, è il tuo disegno, ci puoi mettere LA TUA FIRMA. E potrai farne un capolavoro…


Sandra

venerdì 16 dicembre 2016

Il coraggio di cambiare

Sono ancora viva e non mi sembra possibile, ero convinta che sarei svanita e, forse, per un periodo è stata la cosa che più ho voluto. Per tanto tempo mi sono guardata e mi sono odiata, con tutta la forza che avevo, le mie ossessioni e le mie insicurezze mi hanno fatto da mantello per quando pioveva e anche per quando, nel cielo, c’era il sole. Ho imposto a chi mi voleva bene di guardarmi morire in quella trincea quando in realtà avrei voluto essere leggera, come una carezza, colorata, come un pavone, veloce, come gli aquiloni che si muovono seguendo il vento. Ero un adolescente che cercava un colpevole, qualcuno da accusare per quel dolore che sentivo dappertutto e che mi toglieva il respiro. Nessuno mi avrebbe mai amato tanto da convincermi che ne valeva la pena, pensavo. Nessuno mi farà mai cambiare idea, pensavo..ma chi non sopravvive a se stesso, dove va?  Un giorno ricevetti una mail di un caro amico che da pochi anni ho ritrovato e che solo oggi, che sto “bene” (e mettiamolo fra virgolette), riesco davvero a capire:
 “Cara clod, volevo dirti che quello che è successo ha colto molti di noi (credo tutti) impreparati. Chiarisco che lo dico senza voler giustificare né difendere nessuno, davvero, tanto meno me stesso. Non è facile capire come comportarsi, come agire; ognuno ha avuto ed ha reazioni diverse, la mia è stata di dubbio, di interrogativi e di incertezze sul da farsi, allo stesso modo altri hanno avuto altre reazioni. Ti assicuro, ti ripeto, tutti, hanno sempre provato partecipazione per quello che succedeva. Nel mio caso, voglio che tu lo sappia, il mio silenzio non è stato un silenzio indifferente, su questo, ti prego di credermi. Più in generale, dunque, sii prudente nel giudicare chi ti sta intorno, perché non è stato semplice (ovviamente non ti sto dando nessuna colpa, mi raccomando). Con ciò spero non penserai: “ma guarda questo, viene a parlarmi dicendomi di essere forte un’ altra volta” … ecco, spero di non aver fatto un altro errore. E ti ringrazio, dandomi la tua tesina mi hai liberato dalle catene del silenzio. Mi ha reso inquieto, di questi tempi, la paura di non aver colto dei tuoi messaggi, in particolare in due occasioni, scusami se quelli erano messaggi ed io, non ho saputo capirli. Rileggendo quello che scrivo sembra alla fine che io pensi di essere quello importante e non tu, il tuo dolore, la tua angoscia. Mi giustifico dicendo che sono tutti pensieri riferiti a te, claudia, che ti ho pensato tanto in questi mesi, che mi sono sentito tanto in colpa di non poterti aiutare. Ti saluto con una frase di Enzo Biagi: “ogni giorno è una sorpresa e una meraviglia”, ricordalo, clod, perché mi pare ci sia del vero.”
Matteo
Credo che questo scritto possa essere utile per tutti quei ragazzi e quelle ragazze che nel profondo dolore del binge, della bulimia e dell’anoressia, si sentono soli. Non lo siete, come non lo ero io. Spesso siamo noi a rinchiuderci e neanche ce ne accorgiamo. Io avevo smesso di dare agli altri delle possibilità, ero severa … beh , forse questo lo sono ancora un pochino :’). Avevo 15 anni quando ho cominciato a stare male, 22 quando ho cominciato a cambiare lato della strada..8 anni di sofferenze impossibili da spiegare. Oggi di anni ne ho 25 e quel male lo tengo ben presente nella mia mente ogni giorno per non andare a cercarlo di nuovo, perché se ne resti li, per non tornare indietro, mai più. - Soffrire non serve a niente-, scriveva Pavese.. ma secondo me non è vero. Che poi non vuol dire che per nobiltà dobbiamo soffrire tutta la vita, no. L’infelicità non dona a nessuno. Ma se il soffrire passa, l’aver sofferto ti cambia per sempre: io vedo le cose in modo diverso, vedo più in fondo, per me, un fiore, non è soltanto un fiore. Vorrei avere le parole per dire che la sofferenza, qualsiasi sofferenza, per quanto possa essere devastante, prima o poi ci lascia liberi. Qualche volta ricevo email e messaggi da amiche, care amiche, che non vedo da tanto e che iniziano con: “mi hanno detto che stai bene, e come fai? Come hai fatto?” e davvero, la risposta più sincera che posso dare è che sono andata avanti, anche quando non ce la facevo più, ho continuato a camminare.
Non lasciate che la speranza vi abbandoni, abbiate il coraggio di cambiare, non vi vergognate di tutto il  vostro dolore, non sentitevi fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto. Io non credo di avercele le parole giuste, ma non penso ci sia nulla di più potente delle testimonianze. Lasciate che ve lo dica, perché io ho sempre avuto bisogno di sentirmelo dire: NON MERITATE NIENTE DÌ TUTTO QUESTO.
Vi lascio con una frase che ho letto da qualche parte, ma oramai non ricordo più dove: “libertà è poter dire che, proprio no, non è un destino l’ingiustizia e non è un recinto la nostra vita.”


Con affetto e speranza,
Claudia 

lunedì 12 dicembre 2016

Che cosa è la paura?

Quante volte ti capita di pensare che la vita degli altri è sempre più interessante della tua? Che gli altri sono migliori di te? Che gli altri hanno qualità e capacità che tu non hai? Che gli altri sono più belli e felici di te? ....E la lista potrebbe continuare all'infinito vero? È come se una parte di te stesse continuamente con il dito puntato contro. Pronta a coglierti in errore. Pronta a evidenziare quanto sei lontana dall'obiettivo prefissato. Pronta a incolparti per non essere stata capace di...
Ma, che cosa c'è dietro a questo perenne dito puntato contro? Perché sembra quasi divertirsi a pungolarci così tanto? Forse, è qui che sbagliamo. Non penso ci sia divertimento nel darsi addosso, quanto una nostra incapacità a volerci bene. Viviamo con la costante paura di non essere mai all'altezza di.., quando in realtà noi già siamo.
Perché continuiamo questo infinito paragonarci e confrontarci con gli altri? Che cosa andiamo cercando?
L'altro giorno ho letto per caso una massima: "un fiore non si preoccupa di sbocciare più profumato o più colorato del fiore che gli sta accanto. Semplicemente, il fiore sboccia. E una volta sbocciato, si gode il sole, il vento, l'acqua, la terra. Senza chiedersi alcunché ".
Forse, anche noi dovremmo fare come il fiore. Dovremmo abbandonare tutte le idee malsane di non essere mai abbastanza o di non meritare amore, attenzione, affetto. Se ci pensiamo, è veramente assurdo il male che ci causiamo con pensieri auto le-sionisti e distruttivi.  Certo, a parole è semplice, ma coi fatti poi...Coi fatti finiamo che ci ammaliamo. In questa cornice di perfezionismo estremo dove regna sovrano il controllo e il dimostrare di valere, ecco che ci lasciamo andare a comportamenti malati; e i disturbi del comportamento alimentare sono uno di questi. Perché il cibo, il cibo è facile da maneggiare. Il cibo è lì, sempre disponibile. E, cosa da non sottovalutare, il cibo si fa fare tutto quello che si vuole: si lascia divorare, vomitare, respingere, rifiutare....senza mai dire nulla...senza mai chiedere nulla... È così facile usare il cibo per scaricare la tempesta di emozioni, ansie, paure che abitano in noi.  Ma così, non funziona. Perché una volta cadute nei meccanismi del comportamento dipendente, perdiamo la nostra vera essenza: la nostra unicità, il nostro essere semplicemente fiore.
Le emozioni sono difficili da gestire, soprattutto se accompagnate da paure ancora più grandi  dell'emozione stessa. Ma ognuno di noi è fatto di emozioni. Non possiamo continuare a respingerle, quanto accoglierle. Accoglierle così, naturalmente. Ma.....fa paura vero?
E di cosa è fatta questa paura?
Ha una forma?
Ha una voce? Sta dicendo qualcosa?
Emana calore? O è invece fredda?
Che consistenza ha? È dura? O è morbida?
È un'immagine? E che immagine è ?
Ha dei colori? E quali sono questi colori?
Vive da qualche parte? E dove vive? Come è l'ambiente in cui sta?........

Potrei continuare all'infinito in questo viaggio esplorativo della paura.
Quanto sgomento avevo la prima volta che ho provato a dare una risposta a queste domande che mi venivano poste. Li, occhi chiusi a cercare di vedere, sentire, immaginare. Domande che all'inizio mi parevano così sciocche e prive di senso, come la persona che me le stava facendo. ( eh sì, la mia parte iper critica e giudicante doveva pur dire qualcosa!!!) E invece...invece è stato di una bellezza inimmaginabile. Mi stavo avventurando dentro ai miei pensieri, al mio modo di vedere e sentire, al mio modo di percepire la realtà...e tutto avveniva in maniera così naturale e spontaneo. Non erano per niente sciocche quelle domande; come non lo sono state le mie relative risposte. Il mio visualizzare immagini, colori, persone, forme, luoghi...a volte stupendi e svolte terrificanti...Ma ogni volta che riaprivo gli occhi....la sensazione che provavo era di un senso di grande profondità. Quella profondità di cui ognuno di noi ne è il personale custode. Quanti muri invece vi costruiamo intorno, e quante porte blindate per sigillarla dentro questa nostra profondità, che è poi la nostra più grande risorsa. E tutto, tutto per tenere lontano una sola emozione:  la PAURA.
Dietro alla paura finiamo con il creare interamente la nostra vita. Attraverso un gioco di specchi in cui alla fine, come in un labirinto, non comprendiamo e non vediamo più la porta che ci conduce fuori dalla paura stessa.
Beh...io, come ho scritto prima, ho trovato il mio metodo per trovare quella porta. Semplicemente (e non banalmente) mi siedo....chiudo gli occhi.....e osservo di cosa è fatta la mia paura....lasciandola libera di manifestarsi. Gli specchi, ad uno ad uno, spariscono per lasciare il posto alla porta tanto cercata....la apro....ed ecco la vita farsi improvvisamente spazio davanti a me....ecco che il fiore comincia a sbocciare ed è lì, li pronto a godersi lo spettacolo della vita che è davanti e dentro di se'.
Ciò che spero un giorno e' di riuscire ad insegnare ad altri ad avventurarsi nel profondo viaggio dentro se stessi. Un viaggio non semplice. Un viaggio che richiede molta presenza, sia da parte di chi l'affronta, sia da parte di chi accompagna. Ma proprio perché ho vissuto in prima persona l'esperienza di cosa si prova ad essere "riconosciuti", " capiti" ed "accompagnati" che desidero ora "riconoscere", "capire" ed "accompagnare" chi mi chiede aiuto per incamminarsi in questo viaggio.

Francesca

sabato 3 dicembre 2016

La Bestia

Ci sono giorni in cui avresti voglia di non pensare a nulla. Giorni in cui vorresti annullarti. Non sentire. Non ascoltare. Non vedere il dolore degli altri. Un dolore a te ben noto. Oggi è uno di questi giorni. In questo momento mi sento molto egoista. Avrei voglia di andarmene via e dire :
" Basta! Io questo inferno l'ho già vissuto. E non voglio più averci nulla a che fare. La mia lotta contro l'anoressia e la bulimia l'ho vinta. Ora mi godo il mio essere libera! "
La bestia. La vedo...eccola lì...beffarda...che mi guarda e sogghigna : " Ciao Francesca. Ti ricordi di me? Ti ricordi quanti anni siamo state insieme? Io e te, bella coppia eh? Poi hai deciso di mandarmi via. Ma io sono qui...Guardami!!! Credevi che allontanandomi definitivamente da te mi avresti distrutto? Piccola illusa!!!!!! No....Sono qui...Certo, non faccio più parte delle tue giornate....Ma guarda, guarda quante persone ancora mi cercano, mi amano, non possono fare a meno di me...Guarda come sono desiderata e venerata... Piccola sciocca a credere che senza di te io non esistessi più "
Io rimango lì..La guardo....La ascolto...La bestia è così orgogliosa della dipendenza e sofferenza  che crea intorno a se'. Davanti a questo suo godimento, tutto a un tratto, sento crescere in me ancor di più il desiderio di non mollare; di non chiudere nuovamente quella porta dietro la quale c'è lei, la bestia. E rimango.  Rimango perché voglio dare la mia testimonianza. Lei esiste. Lei c'è. Lei si nutre dei nostri pensieri, del nostro sorriso, della nostra gioia. Lei respira la nostra linfa vitale e ci riduce a dei miseri succubi vegetali autolesionisti e super dipendenti......Ma come non te l'ho data vinta una volta, mia cara bestia, continuerò a non dartela vinta neanche ora. Vorresti che tacessi. Vorresti che ti dimenticassi. Vorresti che chiudessi la porta, così potresti continuare il tuo dissacrante gioco. Ma io non ci sto. Io voglio smascherarti. Voglio testimoniarti contro. E a chi dice che sarai sempre tu a vincere, perché una volta caduti nei tuoi tentacoli non se ne esce, no!!!! Io starò lì, risoluta a dire e confermare che di te ci si può liberare. Non da soli... No....Questo è impossibile perché liberare la mente dalla tua presenza richiede un aiuto esterno perché se restiamo soli con te, tu ti diverti un sacco a confonderci, a dilaniarci, a renderci sempre più bisognosi e dipendenti . Ma se iniziamo a stare insieme agli altri, tutto diventa più facile. E io resto qui, per essere una piccola parte di questo "insieme". Tu mi conosci, cara bestia. Sai quante volte ho gettato la spugna e ti ho detto: " Ok, sei più forte tu. Ritorno da te".... Ma poi, poi ho ricominciato a lottare contro di te e alla fine, ho vinto io.....Tu resta pure lì. Le tue fauci spalancate, il tuo ghigno, i tuoi occhi rossi malvagi non mi spaventano più. Né tanto meno non hai più il potere di attrarmi a te. Ora ne sono fuori....E anche se so che è ben poca cosa, non volterò le spalle a coloro che sono rimasti intrappolati nella tua ragnatela. In questo momento, allontanarmi da te chiudendo quella porta sarebbe la sconfitta più grande perché renderebbe inutile e vano il mio essere ritornata libera. Quindi resta pure lì....continua a sogghignare... Io non mollo...Io resto qui, qui per dire che:
" Dall'anoressia e bulimia si può guarire"
" Si può ritornare libere".
Spesso sento parlare di cronicità della malattia. Cronicità lo è il non chiedere aiuto. Lo è il rifiutare la mano dell'altro. La bestia gode nel vederci isolati perché sa che se rimaniamo soli, può continuare a nutrirsi di noi. Lei si nasconde nella nostra mente ed è pronta sferrare i suoi attacchi a chiunque cerchi di spodestarla, pronta ad allungare e stringere ancora di più i suoi tentacoli attorno a noi. Quando ci vede cadere e ritornare da lei, lei gioisce perché spera di rimpossessarsi di noi completamente. Non lasciamogliela più tutta questa libertà. Cerchiamo di non rimanere isolati. Ciò che ci fa stare male, abbiamo il coraggio di comunicarlo. Tiriamo fuori ciò che ci spaventa, ciò che ci emoziona troppo, ciò che non riusciamo a comprendere, ad affrontare, ad accogliere... C'è solo una cosa da fare contro questa malattia: " Chiedere aiuto!" , per non essere lasciati soli.

Io, come ho scritto prima, non mollo. Ne sono uscita da questa malattia. Proprio per questo voglio dare un valore e un senso a questo mio lungo percorso...e quel valore e quel senso si racchiude in tre semplici parole: " GUARIRE È POSSIBILE!!!!!"

Francesca