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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

lunedì 29 gennaio 2018

Ho vinto io!



"Sei entrata nella mia vita senza chiedere permesso, 
hai sfruttato le mie debolezze per prednerti tutto ciò che mi faceva stare bene,
hai trasformato la mia vita in una lotta contro me stessa, il mio peso, il mio corpo, la mia mente, mi hai fatto male e tanto. 
Ma ora grazie alla mia forza di volontà mi sono ripresa in mano la mia vita, la mia felicità, i miei sogni, la mia voglia di vivere.
Ho imparato a vivere e non più a sopravvivere.
Ho vinto io!"

Ci tenevo a condividere questo pensiero che mi ha accompagnata a concludere la mia tesina per il diploma.
In queste poche righe ci sono racchiusi tanti mesi spesi a combattere contro la fame, fame d'amore verso me stessa, ma alla fine ho vinto io!
Sono una studentessa nata, vissuta e rinata a Belluno, ma ora frequento il primo corso di laurea in lingue a Trieste.

Grazie mille per tutto ciò che fate per noi ragazze!

Chiara Gardin

sabato 27 gennaio 2018

La cura dell'anima



Ho avuto ed ho la fortuna di avere tanto, una famiglia che mi ha sempre amata, che mi ha permesso di fare tutte le esperienze liberamente…studiare, trasferirmi in città diverse, cambiare lavoro più volte…non ho avuto nessun ‘trauma’…ho sempre avuto molto!
Per questo non capivo cosa non andasse: perché ero caduta in quel ‘buco nero’, perché tutta quella sofferenza, quel dolore, perché 20 anni di malattia.
Il problema non era fuori, il problema era DENTRO di ME! Per questo era inutile cambiare luoghi, lavori, impegni e ricreare ogni volta una nuova realtà. Quando ho capito questo, ho iniziato un cammino, non per andare in posti lontani, ma per tornare a casa, nella mia anima. Un percorso interiore di consapevolezza, crescita e scoperta, la cura dell’anima, parallelo a quello medico, la cura del corpo.
Il 25 Ottobre 2017, una data significativa: si è palesata finalmente in me la prospettiva della guarigione, in cui ho cominciato a credere, dopo il primo incontro a Pieve Ligure (GE), nel "laboratorio" di condivisione e auto-mutuo-aiuto dell'Associazione Mi Nutro di Vita.
Da allora sono passati solo 3 mesi, ma sono GRATA per tutto quello che mi ha donato la Vita…la fatica, il dolore, la sofferenza, le lacrime (che non nascondo) di questo percorso, sono ripagate e anche alleviate dal continuo e costante sostegno di tutte le persone che mi vogliono bene: la mia famiglia, il mio compagno, i medici e TUTTI di Mi Nutro di Vita! Non mi sento mai sola!
Ho iniziato a prendermi cura di me…e piano piano sto cominciando ad accettarmi per quella che sono, a volermi bene, a vedere con occhi diversi quelle fragilità e quelle insicurezze che mi hanno portata a ferirmi e a farmi male consapevolmente e inconsapevolmente…sono rimasta bambina con delle ferite aperte che fanno male. Ora posso prendermi cura di quella bambina, prenderla per mano e cominciare a crescere, ad amarla, a sanare quelle ferite e a lasciare andare i pesi chiusi dentro il cuore.
Una cosa inaspettata: più mi prendo cura di me e più la Vita mi dà, riesco a vedere le cose belle che avevo e ad apprezzare quelle nuove. La Vita mi ‘parla’ continuamente, a volte dandomi ciò di cui ho bisogno proprio nel momento giusto, sembra incoraggiarmi, altre volte con ‘ostacoli’ che comunque mi permettono di crescere e capire le reazioni che ho.
Pochi giorni fa, quando sono uscita dall'ultimo controllo dal nutrizionista avevo una strana sensazione di disagio che non capivo, poco dopo ho cominciato a piangere, continuavo a non capire. Ripercorrevo la fatica, le difficoltà, le resistenze, le paure, le lacrime e l’impegno (dal primo giorno mi sono completamente affidata e fidata di questa équipe, non potendomi fidare di me da questo punto di vista, facendo sempre esattamente quanto prescritto: loro sanno prendersi cura del mio corpo, finché non sarò in grado io di farlo da sola). Allo stesso tempo avevo l’immagine di ciò che da un po' di tempo vedo nello specchio: un teschio, uno scheletro! Piangevo e sentivo dolore, man mano che prendevo consapevolezza mi sentivo più forte e sicura. Era un pianto sentito e spontaneo, mi aspettavo una parte malata che gioisse, invece niente, silenzio… Inconsciamente, c’era insicurezza… Quando dico che voglio prendermi cura di me da tutti i punti di vista e guarire, sto credendo ad un miraggio che si è realizzato per altre persone reali, ma che per me è troppo? Mi sto illudendo? Ci riuscirò anche io?
Questo pianto è la prova che il mio cuore, la mia anima vuole veramente guarire e che la testa, i pensieri stanno cambiando, che è possibile guarire! Questo pianto era un ‘lutto’, lasciare andare qualcosa di brutto ma che è servito, qualcosa che per un certo tempo è stato MIO…una rinascita! Adesso ho ancora più fiducia nei miei intenti e nelle mie motivazioni.
Mi sono sentita bambina, con quelle ferite che sanguinavano, ora per altri motivi, ferite che possono essere curate. Quelle ferite sono utili, mi permettono di apprezzare le cose belle e quelle meno belle, sono ‘preziose’, perché mi rendono speciale! E sono talmente grandi che sento tutta la forza che ho avuto per riuscire a farle, quella stessa forza la posso usare per prendermi cura di ME ed è talmente tanta che potrò anche per prendermi cura degli ALTRI e ricambiare tutto quello che sto ricevendo.
Indipendentemente da come diventerà quella bambina, sarà comunque speciale e preziosa, perché unica come tutti.
La dietista ha aggiunto qualcosa: un dolce, una fetta di torta margherita. Al pomeriggio quando ho preso quella fetta di torta, la prima della mia vita, ho realizzato quello a cui non avevo fatto caso. Non poteva essere una coincidenza: era un dono della Vita per quella bambina, in modo che potesse festeggiare la rinascita e lasciare andare quel lutto. La prima festa ‘normale’ con tanto di torta! E non ero sola…. DENTRO  di ME c’erano tutti, come SEMPRE…la mia famiglia, il mio compagno e Mi Nutro di Vita!
Il percorso è lungo e faticoso, ma posso percorrerlo con pazienza e fiducia, prendendomi cura della mia anima, del mio corpo anche la mente può guarire…INSIEME, perché nessuno si salva da solo.

Micaela

mercoledì 24 gennaio 2018

Perfection



La ricerca della perfezione
Una pericolosa ambizione.

Frustrante Pesante Stancante
Sintomo di debolezza
Desiderio di ricevere una carezza

Voglio essere perfetta
Così mi terranno stretta
E... Non mi lasceranno andare
Non mi vorranno abbandonare

Sarò bella brava aggraziata
Dolce e leggera come una fata
E finalmente mi sentirò amata

Cerco di cambiare per essere migliore...
Ma questa ricerca ha un amaro sapore
Ho perso me stessa dietro a questo obiettivo
Intraprendendo un mortale cammino

Paura di sbagliare
Paura di ricominciare...
Una cosa essenziale ho da imparare
Me stessa devo riuscire ad amare
E, in tutti i modi, a rispettare.

Camilla

martedì 23 gennaio 2018

OLTRE. Scoprirsi fragili: confessioni sul (mio) disturbo alimentare




Con il passare del tempo ho capito che continuare a scappare, nel tentativo di evitare lo scontro con il dolore e la sofferenza, non sarebbe servito a nulla: per andare Oltre la malattia, quel dolore bisogna attraversarlo, dargli anima e corpo, per rimpossessarsi di quella pulsione di vita vera che c'è - c'è sempre finché c'è vita - in fondo al cuore, ma che la malattia impedisce di ascoltare.
Fino a poco tempo fa non avevo idea di quanta vita ci può essere Oltre il dolore, nonostante il dolore. Non credevo che dal dolore si potesse rinascere...e invece si, dal dolore e dalla sofferenza può rinascere la vita, dal dolore e dalla sofferenza si può ripartire per ricostruire, mattone dopo mattone, la propria felicità.
Felicità è sfogliare queste pagine che segnano le tappe di un viaggio di crescita e di rinascita, un viaggio che in realtà è appena iniziato...

"Oltre. Scoprirsi fragili: confessioni sul (mio) disturbo alimentare" è un viaggio tra sensazioni, aspettative e consapevolezze di una ragazza poco più che adolescente, che sviluppa un rapporto conflittuale e disturbato con il cibo.
Questo dis-controllo alimentare finisce per incastrarsi tra le sbarre di una gabbia, una gabbia di paure, una prigione entro cui costringersi per piacersi, per accettarsi, per (non) rapportarsi con le sue coetanee. Mentre si vede crescere in mezzo a loro, belle e disinvolte, si sente sempre più a disagio, inadeguata. Scorrono gli anni e sulle sue spalle si fa sempre più insostenibile il peso di un dolore che affonda le radici nel suo passato, dolore che somatizza in un corpo alla continua ricerca di calore, di abbracci, e di un rifugio: la malattia, il (suo) disturbo alimentare.
Fino a che, a 25 anni, matura la consapevolezza che una risposta positiva a quest'autodistruzione esiste: è ascoltarsi. E' grazie ad un lungo viaggio introspettivo, scandito da tre principali tappe - "in trappola", "in bilico", "in equilibrio" - che riuscirà finalmente a riconoscersi, ad andare Oltre la malattia: ritroverà finalmente se stessa e riscoprirà uno sguardo compassionevole, di riconoscenza e d'amore, nei confronti di se stessa.
Per raccontare la mia esperienza con il Disturbo Alimentare, non ho voluto scrivere una storia o un diario, ma piuttosto costruire un percorso di riflessioni e confessioni, come le ho soprannominate nel sottotitolo, sul (mio) disturbo alimentare. Si tratta della rielaborazione di un lavoro introspettivo di circa tre anni che, strada facendo, mi ha portata al desiderio di condividere pensieri e paure, sensazioni ed emozioni, che accompagnano il faticoso percorso di chi soffre di DCA, affinché anche chi non conosce possa comprendere meglio i subdoli meccanismi che sottendono queste patologie. Un ruolo fondamentale in questo percorso lo ha rivestito proprio la scrittura: raccontarsi agli altri per informare e sensibilizzare e, soprattutto, raccontarsi a se stessi per "alimentare" il desiderio - il desiderio ritrovato dopo anni di malattia - di guardare "oltre", di guardare a quel prezioso dono chiamato Vita, che in un Fiocchetto Lilla ritrova il suo senso più vero. 

Un disturbo alimentare non è solo il cibo che mangiamo o non mangiamo,
non è solo quel corpo che apprezziamo o disprezziamo.
Un disturbo alimentare è, soprattutto, quel dolore che ci distrugge dentro,
quel dolore che solo l'ascolto sincero, che scava a fondo nelle ferite dell'anima,
può aiutare a guarire.
In fondo, per continuare il racconto della Vita,
non si può far altro che guardare Oltre, andare Otre:
ricominciare sempre, nonostante tutto, da lì,
dalle nostre ferite,
da dove ogni volta la Vita si è interrotta.

Sandra

Il libro è acquistabile direttamente tramite l'Associazione Mi Nutro di Vita, alla quale ho deciso di devolvere l'intero ricavato della pubblicazione, perché è proprio grazie al contatto stretto con questa grande "famiglia", che mi sono finalmente sentita nuovamente parte di qualcosa di più grande dell'universo soffocante della malattia, parte di un gruppo di persone - persone in carne ed ossa, capaci di emozionare e di emozionarsi - e non più solo di fantasmi, i fantasmi che hanno popolato i tanti anni in solitudine della mia malattia. Con ogni persona dell'Associazione che ho incontrato, insieme al mio Fiocchetto Lilla, in questi mesi di collaborazione, ho condiviso momenti importanti che nutrono l'Anima, ognuna è stata - ed è tuttora - un raggio di luce che ha trasformato le mie lacrime in un arcobaleno di colori vivi.
Nel suo piccolo, anche questo libro vuole essere, spero, uno spiraglio di luce, di speranza, per chi ogni giorno lotta contro il male subdolo dei DCA, per trovare la forza di chiedere aiuto…ne vale davvero la pena, perché vale la Vita.


Per acquistare una copia del libro, inviare un'email a segreteria.mnv@gmail.com, specificando nome, cognome e indirizzo di spedizione.                     

domenica 21 gennaio 2018

Voglio tornare a vivere



Mi piace ogni tanto premere il pulsantino “rewind” della mia vita per poter rivedere quei momenti che sono stati per me il terribile presente da cui scappare.
Mi sento un po’ ridicola per aver considerato una vittoria una semplice crema al caffè presa dopo una colazione sostanziosa, mi sembra patetico ritenere un passo avanti un piccolo cioccolatino a metà mattino, mi pare una sciocchezza aver gioito tanto per un biscotto dopo pranzo, mi sento una grande stupida per essermi esaltata tanto per non aver fatto i soliti esercizi quotidiani. Razionalmente però, ora, comprendo che ogni cosa che ho fatto -per quanto piccola essa fosse- è stata rilevante nel mio percorso di guarigione. Ho riflettuto tanto prima di prendere le patatine fritte al ristorante, ricordo di aver perfino tremato per aver ordinato una pizza farcita, ho LETTERALMENTE pianto di gioia quando a fine giornata mi sono accorta di essere riuscita a non fare nemmeno un po’ di attività fisica. Ho urlato fortissimo, ho gridato fino a piangere, mi sono graffiata i polsi fino a sanguinare, per non dover sentire i mostri nella mia testa che mi dicevano che non andavo bene, che facevo schifo e che non ero “abbastanza”. Sono crollata, ci sono stati giorni in cui non riuscivo nemmeno più a vedere uno spiraglio di luce e quindi tornavo ad accasciarmi per terra, al fianco di quel mostro. In certi momenti ho lasciato che mi schiacciasse, per cui mi sono ritrovata a buttare nel cestino quel biscotto “in più” o a rinchiudermi in una stanza buia a fare gli addominali, sola con i sensi di colpa ed il sentimento di essere sporca.
Mi sono sempre sentita un peso. Era un peso la mia celiachia scoperta tardi, ero un peso per la mia madre-allenatrice in casa e per la mia allenatrice-madre in pista, ero un peso per le mie amiche a scuola, ma soprattutto ero un peso per me. Mi sono sempre trovata bene col mio corpo così longilineo e snello, però ad un certo punto si è frantumato un anello della catena che mi garantiva un briciolo di equilibrio. Il mio nuovo passatempo era diventato contare le calorie che ingerivo e poi bruciarle. Ho bruciato tanto, ho bruciato tutto.
Ho iniziato col peso, poi sono passata alle amicizie e a qualsiasi tipo di rapporto, ed infine la mia passione, il pattinaggio. In ogni situazione cercavo un aspetto da rendere “malato”: al mattino mi facevo lasciare da mia madre lontana da scuola così da poter camminare, facevo gli addominali mentre mi lavavo i denti dopo ogni pasto, bevevo acqua freddissima od uscivo con addosso vestiti leggeri per lasciare che il mio organismo utilizzasse tutte le -poche- calorie per scaldare quelle quattr’ossa che iniziavano a farsi sporgenti e dolenti. Ancora addosso ho un livido che mi percorre tutta la schiena, come segno di tutte le volte in cui mi sono trovata a fare esercizi fisici assurdi nei bagni di casa dei miei nonni in occasione dei pranzi di famiglia, o di un qualsiasi ristorante sconosciuto.
Ho pianto. Ho pianto tanto. Ogni sera, dopo allenamento, tornavo a casa e quando mi dovevo spogliare per entrare in doccia, lo specchio di fronte a me mi mostrava l’immagine di una ragazza sconosciuta e grassa. Avevo i muscoletti che stavano emergendo, ma la mia testa li considerava “grasso”. Mi sentivo inadatta e sbagliata per questo mondo, ero un enorme errore e, in quanto tale, un giorno decisi di cancellare con una riga rossa quello che desideravo cambiare. Una semplice linea color rosso sangue, prima sulla pancia e sulle cosce, poi sui polsi con la speranza di metter fine a tutto quel mondo che, pesante, mi opprimeva. Era diventata quotidiana routine: tornare a casa, litigare con la mia allenatrice-madre, entrare in doccia e sgocciolare sangue e gocce di vita. Ogni qualvolta prendevo quella piccola lama tra le mani, potevo sentire delle piccole goccioline della mia vita rimbombare nel fondo del pozzo in cui mi ero gettata a capofitto. Il sangue scendeva ed io mi sentivo più viva, sentivo che quello che stava succedendo era giusto, me lo meritavo: dovevo solo soffrire.
Non uscivo più con i miei amici, mi rivolgevano la parola solo se obbligati, non avevano mai nulla da dire quando arrivavo io. Più loro mi ignoravano, più io mi rintanavo nel mio confortevole guscio, più allontanavo da me chiunque cercasse di mostrarmi un minimo di affetto. Confrontavo le mie gambe flaccide con quelle delle ragazze più magre e le invidiavo. L’unica cosa a cui aspiravo era dimagrire, tutto il resto non contava più. Mi sembrava di occupare troppo spazio, quando ero derisa da chiunque mi vedesse perché invece di spazio ne occupavo sempre meno.
Mi rendo conto di aver ferito la mia famiglia e i miei genitori. Mi incolpo perfino di situazioni con cui magari non ho nulla a che fare, ad esempio la depressione che ha colpito mia nonna. Mio nonno ha l’abitudine di guardare i miei video delle gare di pattinaggio ma ultimamente mia nonna, la madre di mia madre, sostiene di non riuscire più a vederli, incolpando me per il suo dolore. Mia madre mi ripete spesso che non è a causa mia che la nonna punta il coltello contro il nonno o se a volte piange vedendomi, purtroppo io però continuo a sentirmi colpevole. Quando vado a trovarli le conversazioni sono sempre le stesse: “mangia questo, mangia quello, qui c’è l’olio, lì il formaggio, mettici il sale”. Temo che questo non avrà mai fine, credo che continuerà a vedermi sempre come la mia malattia.
L’altra mia nonna invece, la madre di mio padre, è molto religiosa, tanto da aver chiamato mio padre Antonio come forma di ringraziamento per il santo: quando è nato, la suora che l’ha fatto venire al mondo gli ha aperto la pelle a livello del torace, tagliandogli un pezzo di polmone, quindi è nato rischiando la vita. Mia nonna aveva smesso di mangiare, passava tutto il tempo a pregare Sant’Antonio ed alla fine, non so come sia successo, mio padre si è salvato, anche se ora si porta addosso una cicatrice molto grande vicino al petto. Da piccola andavo sempre in chiesa, ma quando le voci della malattia hanno iniziato a farsi sentire, io ho smesso di credere nell’esistenza di Qualcuno di buono che ci amasse tutti.
Un giorno sono andata dai miei nonni con mio padre, ma appena siamo entrati mia nonna mi ha abbracciata ed è scoppiata a piangere. Ricordo benissimo le parole che mi ha sussurrato tra un singhiozzo e l’altro, ogni tanto mi capita di sognarle: “Quando tuo padre è nato, ho pregato Sant’Antonio di farlo respirare di nuovo, ora lo sto pregando perché non mi porti via mia nipote, il mio bene più prezioso. Deve salvarti, io sono convinta che tu ci possa riuscire.
Quella sera ho pianto, ho pianto tanto perché ho realizzato che questo mio disturbo alimentare non ha rovinato solo la mia vita, ma anche quella di coloro che mi sono sempre stati accanto.
Molte persone si sono allontanate da me. Le mie migliori amiche sono scappate via, spaventate dalla mia malattia, ferite dai miei comportamenti, deluse dal mio isolamento e dalla mia ricerca di solitudine. Non le biasimo, nel periodo adolescenziale ognuno ha i suoi problemi, ma non nego che ci sono momenti in cui la mia solitudine mi massacra la testa ed il cuore, ricordandomi che se ora mi ritrovo qui, la colpa è solo mia, che in questo oscuro e profondo pozzo mi ci sono buttata di testa da sola. Ogni tanto qualche sconosciuto ha provato ad avvicinarsi a me, ma dopo aver visto il carico di schifo che mi portavo sulle spalle, girava i tacchi e lentamente si allontanava. Solamente una persona, a cui devo davvero tanto, ha cercato insistentemente per ben due anni di rompere quella gabbia di vetro che mi ero costruita attorno. Ha tentato di farmi apprezzare le cose belle di me, ma io lo insultavo non vedendole. L’ho cacciato via mille volte, ma lui è tornato mille ed una volte, ripetendomi che il mio sorriso non era malato, che il mio corpo mostrava un passato-presente terribile, ma sosteneva che la forza di salvarmi ce l’avevo, anche se magari era nascosta in un angolino del mio cuore. Ero diventata apatica, a volte perfino gioivo a vederlo soffrire per colpa mia, la mia testa mi convinceva sempre più di fare schifo, di non contare nulla per nessuno, di essere davvero un mostro a spezzare il cuore a chi me l’avrebbe donato.
Ero terrorizzata. Andavo a letto con la speranza di non svegliarmi l’indomani, ma ogni mattina aprivo gli occhi angosciata dall’essere ancora al mondo. Non riuscivo più a respirare normalmente, a volte era necessario che io mi ripetessi “inspira ed espira”, da quanto il mio respiro era alterato. L’ansia ormai era parte di me. Mi si ripeteva di guardare avanti, ma davanti a me c’era solo un enorme buco nero che mi terrorizzava: non vedevo un futuro, lo temevo tantissimo. Vedevo ragazze che erano riuscite a darsi la spinta necessaria per uscire da quell’oscuro pozzo e mi chiedevo cosa fosse stato ad innescare nella loro testa il meccanismo di “voglio salvarmi”. Ero tormentata dal pensiero che le cose potessero essere perfino peggio, mi sembrava di vivere in un incubo. Il problema peggiore, però, era che quell’incubo mi piaceva: mi ci crogiolavo dentro, mi ripetevo che essendoci dentro potevo permettermi ad esempio di fare mille addominali dopo aver mangiato un’insalata, perché tanto mi ci ero immersa completamente nel mio disturbo alimentare.
Le mie paure hanno avuto una marea di effetti nella mia quotidianità. La mia preoccupazione ha fatto sì che io mi lasciassi scappare via l’unica persona che forse mi ha realmente amato, il mio terrore di sbagliare mi impediva perfino di provarci e di impegnarmi quando le cose si facevano difficili a scuola, il mio timore di disturbare non ha lasciato che io risolvessi i miei dubbi e ponessi le mie domande ai professori per la maturità, la mia angoscia di fallire mi costringeva a nascondere i miei eventi importanti, come ad esempio l’esame della patente ai miei. Che senso aveva far nascere in loro una piccola speranza per la mia riuscita, se tanto dopo avrei fallito come al solito?
Ricordo le urla contro me stessa, penso che nessuno sarà mai capace di odiarmi nemmeno la metà di quanto mi sono odiata io. Avevo paura che il mondo potesse ferirmi, allora mi distruggevo da sola con pensieri, tagli ed esercizi fisici stremanti. Tutto il male che il mio corpo poteva ricevere, l’ha ricevuto da me.
E' stato difficilissimo uscire dalla zona di comfort malato in cui mi ero ficcata, non nego che ne ero terrorizzata, perché ormai avevo paura di stare bene. Mi ricordo il rumore che ha fatto il mio cuore di vetro quando si è rotto alla vista di mia madre che piangeva in uno studio clinico dopo le parole della dottoressa “Signora, se sua figlia non si fa ricoverare, lei la perde.”
Ce l’ho fatta. Ho preso la decisione di lasciare il centro per i DCA che mi stava facendo cadere ancora più giù, mi sono rialzata da sola. La guarigione non è per niente semplice, ma ho chiari davanti a me i miei obiettivi. 

Voglio tornare ad uscire con gli amici, a ballare fino alle 6 di mattina, ad innamorarmi ed emozionarmi per le cose belle che mi circondano, voglio vedere il sole e tutti i colori dell’arcobaleno, riuscire a studiare senza il perenne mal di testa, voglio ricominciare a pattinare, non voglio più essere guardata con disprezzo a causa della mia magrezza.
Voglio tornare a vivere, è questo quello che mi merito.

Aurora

sabato 20 gennaio 2018

Gemelle



Io e te, due pezzi di legno alla deriva
sballottati dalle onde senza premura
senza gentilezza alcuna.

Il mare
immenso, impetuoso
impavido.
E noi
troppo piccole troppo fragili
piene di timori
per contrastare la sua potenza.

Così come due naufraghe in mezzo all'oceano
Annaspiamo
cercando di tenere la testa sopra la superficie
dell'acqua
per respirare
per non morire.

Ci guardiamo
Ci capiamo
di più... Ci comprendiamo.

Le acque si calmano
Sono docili
Riusciamo a respirare a pieni polmoni
Sorridiamo l'una all'altra
Leggi il mio sguardo: Speranza
Potrebbe essere la volta giusta per ritrovare la rotta.

Ma la quiete dura poco
Torna la tempesta
Furiosa si abbatte sui nostri corpi stanchi
Non ha gradito il nostro tentativo di fuga

Nei tuoi occhi vedo riflessa la mia paura
Paura condivisa
Credevamo di farcela
Invece abbiamo nuovamente l'acqua alla gola
Lei vuole trascinarci giù
Sempre più giù
Sul fondo
E noi non abbiamo più forze per reagire.

Sconfitta fallimento rassegnazione
Si fanno strada nei nostri cuori
I nostri occhi
non vedono più la luce del sole
Stiamo affondando
Ci sta trascinando negli abissi

Fa freddo
Ho paura di perderti
Afferro la tua mano
Tu rapida stringi la mia.

Non possiamo guardarci
ma sappiamo quale espressione è dipinta sui nostri volti
Non possiamo parlare
ma le nostre mani fortemente intrecciate dicono tutto

Vorrei tanto consolarti Amica mia
darti speranza, dirti che risaliremo verso l'alto
Ma non posso
Non ti ho mai mentito...

Siamo gemelle
Non di sangue ma di spirito
perché
portiamo
sulle spalle lo stesso enorme peso
nel cuore lo stesso straziante dolore
nella mente lo stesso logorante tormento

Le nostre anime si sono toccate
Sono affini
si vogliono bene

Abbiamo percorso un tratto di strada assieme
ne siamo felici
e questo ci basta
per decidere di andare incontro alla morte
col sorriso sulle labbra

Arrivederci dolce farfalla
sono sicura che ci rincontreremo
nella prossima vita
dove spero ci sarà concessa un'esistenza più serena.

Con affetto, un'amica sincera.
Camilla

lunedì 15 gennaio 2018

Combatti, non ti arrendere.



Combatti, non ti arrendere.
Per favore non ti spegnere...

Come la stella polare
continua a brillare!

Non smettere di sognare,
i tuoi desideri continua a coltivare.


Lo so sei stanca ormai...
ma un giorno rifiorirai
e sorriderai così tanto
che ti commuoverai fino al pianto.

Un pianto di gioia e felicità
per aver vinto sull'oscurità.

Quel giorno non è troppo lontano,
non stai lottando invano.


Sei forte e tenace,
raggiungerai presto la tua pace.

A queste parole voglio credere...
Ne ho bisogno per non cedere.
 

Camilla

mercoledì 10 gennaio 2018

Cara mamma...



Cara mamma,
Avrei delle cose da dirti
ma ho tanta paura di ferirti,
paura di spaventarti...
e, nel caso, non potrei biasimarti.

Ti chiedo scusa per il mio comportamento,
so che ti provoca turbamento.
Non voglio darti altri pensieri,
ne hai già di molto seri.

Voglio vederti serena
come una bimba sull'altalena.
Per questo non posso dirti niente...
non voglio angosciare la tua mente,
ma soprattutto il tuo cuore,
pieno di delicato amore.

Ti chiedo scusa dal profondo.
Un giorno ti farò entrare nel mio mondo.
Posso solo dirti che ti voglio bene
e che spero un giorno finiranno le tue pene.
Mille volte ti chiedo perdono
per tutto ciò che sono
e non sono.

Cam